Firenze, 11 gennaio 2013 - "Sono nato da mio padre che faceva tutto. Sono musicista e regista ma uso, diciamo, un programma diverso. Non sono un filmaker né un poeta, né uno scrittore, né un musicista. Ma un po’ di tutto questo. Oppure niente di tutto".
Anti. Per definizione, per cultura, per intelligenza e sensibilità. Anti, perché da un niente o da pochissimo sa creare situazioni, idee, momenti. È Andrea Mariotti, fiorentino, figlio di Mario, morto nel ’97, illustratore, grafico, comunicatore e performer che amava definirsi ‘artista periferico’. E di Italia Nativo, ballerina del teatro Comunale.
È pieno di suggestioni questo film che racconta la vita di Niccolò Stenone. Mariotti è riuscito a rendere un argomento di non facile appeal, richiesto e condiviso e soprattutto proiettato nei luoghi più impensabili. E senza accorgersene, è diventato quasi un cult. Bravo Mariotti: abbiamo bisogno di uscire a testa alta dall’eterno presente di un corpo-mente efficiente, infrangibile, cui tutti attingono senza vergogna. È stato l’unico in Italia che rende giustizia a una figura fondamentale per la medicina.
Andrea perché Stenone?
"Questo film è stato un lavoro su commissione, e per questo devo dire grazie l’avvocato Alessandro Berti console di Danimarca a Firenze, che attraverso il film voleva sottolineare i 40 anni di attività del suo consolato. E voleva qualcosa di diverso e di importante, che restasse. Stenone era danese anche se poi fiorentino di adozione".
Dunque ha scelto lei?
"Veramente prima di me aveva contatti con una troupe di Roma, ma ho trovato un’idea che gli piaciuta molto".
Quale?
"È il cuore di questo film: una ragazza che niente sa d’arte entra in San Lorenzo e, dopo aver girato la chiesa, si sofferma sulla tomba di Stenone. Il suo sguardo si posa sui biglietti lasciati dai fedeli. E arriva l’avvocato Berti. I due non si conoscono e lui le domanda: "vuol sapere di chi è la tomba?". Così inizia a raccontare la storia di Niccolò Stenone, scienziato che sezionava i cadaveri, che ha lavorato alla corte dei Medici".
C’è un intervallarsi di personaggi
"Esatto, perché la storia interrompe la narrazione attraverso persone come Paolucci e Betori; Lippi, Lari e De Rosa. Paolucci dice una cosa bellissima: “La parola galleria è stata inventata a Firenze: percorso che prende luce da un lato e allinea opere d’arte dall’altra”."
Nel finale?
"Dopo la preghiera di Stenone la ragazza torna in chiesa, ormai padrona della conoscenza, perché qualcuno le ha raccontato. Il messaggio è anche questo, la cultura si tramanda con le parole. Incontra un uomo, che anche lui arriva alla tomba. E gli domanda: vuol sapere chi è Niccolò Stenone?".
Chi c’è nel cast?
"All’inizio doveva essere una cosa più piccola e ristretta. Poi questo film di 37 minuti è diventato una cosa ambientata al tempo dei Medici, con tanto di costumi. Voglio ricordare Neri Quagli, che ha interpretato Stenone, Lapo Quagli, direttore della fotografia, e l’attrice che ha fatto l’unica donna della vita di Stenone che l’ha convertito dal luteranesimo al cattolicesimo: Lavinia Arnolfini".
Mariotti, che effetto le fa Stenone?
"Non lo conoscevo. Oggi quel che mi piace di più, mi fa sentire questo personaggio vicino è un po’ mi commuove, è di essere stato il primo a parlare di lui. Ma anche il fatto che sia morto in povertà e che quasi tutte le sue scoperte le abbia fatte tra Firenze, Livorno e un po’ a Roma. Durante le riprese l’ho sentita questa sensazione: “sto per fare un’impresa più importante di me”."
Mariotti: sono tempi in cui possiamo parlarci e capirci solo nelle differenze. 

Titti Giuliani Foti