SFIDE METROPOLITANE / Vicchio e Scarperia: tra prosciutti e coltelli nasce l'imprenditoria giovane

Raccontare la crisi e le storie di chi l'ha attraversata e ce l'ha fatta a uscirne. Il reportage di quattro giovani PRIMA PUNTATA: POMINO

Una sosta durante la tappa Vicchio-Scarperia

Una sosta durante la tappa Vicchio-Scarperia

Firenze, 24 agosto 2015 - Sfide Metropolitane è un reportage sulla crisi realizzato da quattro giovani fiorentini. Ogni lunedì, sulle pagine online de La Nazione, racconteranno con testi, foto e video tutti gli aspetti della crisi, le storie di chi si trova in difficoltà e di chi ce l'ha fatta. Ecco la seconda puntata, con la tappa Vicchio-Scarperia.

Stavamo per commettere un errore madornale: rimetterci in viaggio senza aver neanche assaggiato una fetta di prosciutto. Eppure gli indizi per capire che forse valeva la pena tentare erano disseminati un po’ ovunque, a partire da quel centinaio di cosce di maiale stagionate appese sopra le nostre teste o, per dirne un’altra, dall’insegna stessa del locale nel quale avevamo appena finito di pranzare, che recita stentorea ‘Casa del Prosciutto’ a Vicchio.

Ma niente, non ci siamo smossi fino a quando, rientrando per prendere un caffè, il profumo del prosciutto appena tagliato ha inebriato anche i nasi più duri. Solo a questo punto abbiamo aggiunto con il nostro abaco mentale un altro buon motivo a quelli che già ci avevano convinto a voler tornare da queste parti. Per dare una conferma pratica all’operazione aritmetica appena svolta, però, abbiamo dovuto assaggiare e, dato il primo morso, l’incrociarsi dei nostri occhi festanti è equivalso ad una lode apposta in blu su un compito di matematica svolto alla perfezione.

Così, da sbadati che eravamo, eccoci abbarbicati al bancone per conoscere provenienza degli animali, stagionatura, tecniche di salatura e composizione della mistura di spezie che ricopre i prosciutti. Tra una chiacchiera e l’altra però, alla fine, non abbiamo resistito, e qualche domandina sulla ‘crisi’ l’abbiamo fatta anche qui. Il locale è pieno nella piccola sala all’interno, e all’esterno i posti sotto il pergolato sono quasi tutti occupati, mentre la terrazza con gli ombrelloni, sotto il sole cocente - dove ovviamente ci eravamo sistemati noi - è completamente vuota.

E’ l’ora di pranzo di un sabato d’agosto, e tutto sommato ad un occhio esterno verrebbe da pensare che non ci si possa poi lamentare. Impressione che viene in effetti confermata dal nostro oste anche se nella zona, negli ultimi anni, la crisi si è sentita e in tanti hanno dovuto mandare a casa i dipendenti. La sua essendo una gestione familiare (di qualità) ha resistito al calo con lievi miglioramenti registrati nell’ultimo anno.

Chiedere qui come va è un po’ interrogare un termometro delle abitudini che cambiano; noi ce ne accorgiamo fortuitamente quando scopriamo che una parte importante delle entrate derivano dalla preparazione di confezioni per le feste natalizie e pasquali, ossia i classici pacchi regalo ripieni di salumi, dolci e vino. Per organizzare questo servizio specifico a Vicchio si sono dotati di un negozietto separato che ha apertura stagionale per evadere le prenotazioni e facilitare la vendita diretta; poi durante il resto dell’anno, nello stesso spazio si tengono corsi di yoga e meditazione, il che ci fa pensare alle classiche bandierine tibetane che sfilano in mezzo alle cotenne.

Ebbene, il mercato delle confezioni è calato parecchio, nel senso che se i clienti non sono poi diminuiti così tanto è il volume degli ordini in termini di valore ad essersi abbassato in maniera drastica, ci spiega il nostro interlocutore mentre affetta una torta ai fichi da esposizione. In pratica le vecchie abitudini non sono cadute in disuso, ma ci si ricorre con molta parsimonia. Quel che abbiamo capito, comunque, è che rispetto ad un tempo il lavoro è calato, ed è indifferente che si parli di coperti ai tavoli o di pacchi regalo per Natale, la regola è sempre la stessa: bisogna adattarsi.

Lasciato alle spalle lo storico ponte mediceo sulla Sieve con in tasca un bigliettino da visita in più, siamo andati in una storica bottega di lame nel centro di Scarperia, capoluogo comunale del nuovo comune fuso Scarperia-San Piero a Sieve, formatosi l’anno scorso. Questo borgo del Mugello, conosciuto ai più per l’Autodromo Internazionale e la gloriosa Sagra del Tortello è infatti, in maniera quasi anonima, patria dei ferri taglienti, come attestato dagli Statuti dei Maestri Coltellinai redatti in città e risalenti al XV secolo.

Proprio per questo, dopo un breve giro culturale al Palazzo dei Vicari, ci addentriamo nel cuore del borgo, dove troviamo Giacomo, un quarantenne diversamente giovane, ex-studente di architettura per il design e socio oggi di una bottega di coltellinai in Scarperia le cui prime tracce si rinvengono in un censimento del XIX secolo. Il nostro primo approccio con il mondo dei coltelli artigianali è un’ammissione di ignoranza.

Le nostre facce impalate che si chiedono a quale uso specifico siano destinati i ferri esposti nel negozio sono l’ennesima conferma offerta a quella che Giacomo chiama ‘cattiva cultura del coltello’, che non vuol dire cercare di redimere le lame dall’immagine dello strumento di offesa, quanto piuttosto evidenziare la mancata valorizzazione di un prodotto che nonostante sia frutto di un saper fare artigiano che, come si dice in questi casi, unisce tradizione e innovazione, rimane misconosciuto ai più, come semisconosciuti sono in città gli artigiani che a 30km dal centro di Firenze quel prodotto lo realizzano.

Almeno da questo punto di vista, però, la crisi che ha spinto a cercare sbocchi maggiori sui mercati esteri, ha regalato qualche soddisfazione ai coltellinai di Scarperia, i quali nell’ indifferenza della terra natia hanno scoperto di essere legittimati fuori dall’Italia come dei veri Maestri. Entrando però nei temi che più ci interessa affrontare, Giacomo ci racconta come si sia avvicinato al settore attraverso dei corsi di formazione tenuti da storici mastri coltellinai ormai tutti scomparsi, di come sia difficile riuscire a trovare dei ragazzi giovani interessati all’artigianato e di quanto l’azienda di cui fa parte si impegni per promuovere non solo il proprio prodotto, ma tutto il territorio di Scarperia e la fetta di Mugello circostante.

La costante che lega tutte le sue considerazioni è la difficoltà incontranta ogni volta che si cerca di fare qualcosa di nuovo, sia che si tratti della zavorra fiscale statale che non permette di fare gli investimenti desiderati, sia che si tratti dello scarso spirito di collaborazione che caratterizza imprese concorrenti e non, animate dal solido principio dell’ognun per sé, sia, infine, che si tratti di referenti nel panorama istituzionale che stentano a trovare soluzioni propositive.

Chiedere come riesca a trovare l’energia per affrontare un contesto così poco accomodante viene naturale, proprio come naturale sgorga la risposta dalla sua bocca, “per passione”. In effetti non c’è altro modo di spiegarla, non si potrebbe capire altrimenti il perché di una tale profusione di energie, né sarebbe possibile inquadrare l’aspetto più importante di questa storia, ovvero la voglia di scommettere e di credere in quello che si fa. Giacomo ed il suo socio Leonardo lo hanno fatto: era il 2002. “Anni d’oro”, ci dice ripensandoci un attimo su.

“La svolta è stata quando abbiamo deciso di investire nelle strumentazioni e nelle competenze necessarie a permetterci di forgiare in proprio le nostre lame. Così, se prima compravamo l’acciaio già stampato, limitandoci ad affilarlo e completare il coltello con un manico e tutte le altre rifiniture, oggi possiamo scegliere la materia prima che preferiamo e lavorarla in azienda secondo i nostri alti standard qualitativi. Siamo passati dall’essere degli artigiani ad essere degli artigiani-imprenditori”. Il senso di tutto alla fine sta qui, nella capacità imprenditoriale di scommettere in quello che si fa per migliorarlo e adattarlo ad un contesto che è profondamente cambiato.

E la mutazione “da artigiano ad artigiano-imprenditore”, espressa in maniera quasi inconscia, evidenzia una contrapposizione falsa, quella appunto tra artigiano ed imprenditore, che in realtà non sono altro che facce della stessa medaglia. Necessariamente. Quindi cura dei dettagli, tradizione e passione, ma anche investimenti, fatturato, nuovi mercati.

Testo di Lapo Cecconi, Gianluigi Visciglia, Jacopo Naldi. Foto di Eva Bagnoli.

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