SFIDE METROPOLITANE / Vino, due passi nel Chianti: tra ottime annate e voglia di fare squadra

Le storie della crisi a Firenze e dintorni raccontate da un gruppo di giovani SECONDA PUNTATA: VICCHIO E SCARPERIA / PRIMA PUNTATA: POMINO

Un momento del viaggio nel Chianti

Un momento del viaggio nel Chianti

Sfide Metropolitane, 3° puntata: Firenze - San Casciano in Val di Pesa, 19.8 km Superstes Vinum.

Firenze, 1 settembre 2015 - Sfide Metropolitane è un reportage sulla crisi realizzato da quattro giovani fiorentini. Ogni lunedì, sulle pagine online de La Nazione, racconteranno con testi, foto e video tutti gli aspetti della crisi, le storie di chi si trova in difficoltà e di chi ce l'ha fatta. Ecco la seconda puntata, con la tappa Vicchio-Scarperia.

Finocchiona, lardo, prosciutto. Salame. Fette di formaggio, strisce di schiacciatina col pomodoro fresco, pane. Acqua e un bicchiere di vino. Poi la delusione: “No, non abbiamo crostata”. Il cibo ha un ruolo onnipervadente e sovraesposto nelle nostre esistenze. Foto e resoconti di viaggi hanno spesso la sezione più importante alla voce “ho mangiato delle cose incredibili”. I più aggiornati hanno fotografato e fotografano creazioni culinarie condividendole con l’hashtag #foodporn; i più tradizionalisti si limitano a dare consigli con iperboli degne del fanatismo più radicale.

Quelli che stanno in mezzo hanno un profilo su Tripadvisor. Uno spaghetto ci seppellirà. Siamo in mezzo alla campagna a sud della città, in una delle tante zone di quel Chianti che nelle previsioni, a fine anni ‘60, di Mario Soldati sarebbe diventato antonomasia di ‘vino toscano’. Il nostro conducente, mentre guida su un asfalto chiazzato di pioggia, ispirato si lascia andare ad una dichiarazione d’amore: “Mangiare bene e genuino fuori è diventato impossibile. Il mondo gastronomico e la ristorazione a Firenze hanno subito un abuso di massa. Trovare dei posti dove valga la pena andare è sempre più difficile, checché ne dicano al ristorante si mangia normale. Nel campo dell’enogastronomia, invece, è diverso perchè il vino mantiene ancora un alone quasi esoterico. Vendemmi sempre la stessa uva, utilizzi la solita tecnica consolidata, ci metti sempre la massima cura e attenzione, ma il vino viene diverso ogni anno; come si trattasse di uomini, ognuno con una storia diversa”.

I passeggeri convengono. Il nerd di turno interviene: “Sapete del Sideways effect? E’ dovuto all’uscita di un film, Sideway appunto, che ha fatto registrare cambi significativi nel mercato del vino statunitense a seconda che certi vini fossero denigrati o acclamati dal protagonista”. 

Come a dire che anche questo mondo ha più di una faccia: una romantica e una industriale che funziona come ogni altra industria di massa. Il meteo è incerto, ed in qualche maniera riflette l’ambivalenza di questa tappa. Siamo circondati da poggi calcari e rocciosi, burri improvvisi e secchi intervallati da solitari declivi, un paesaggio nel complesso ruvido e deciso, che ha poco in comune con i morbidi colli da cartolina che mentalmente associamo alla Toscana. In macchina, vaghiamo nel fu splendente Chiantishire, e ci sentiamo spersi dal dedalo di cantine ed etichette che costituiscono questo mondo nonostante avessimo studiato.

Innanzitutto le opinioni sono piuttosto unanimi: questa promette di essere un’ottima annata. Di recente sono stati diffusi dati molto confortanti sulle esportazioni di vino italiano, in aumento nei primi cinque mesi dell’anno. Una crescita, però, spinta per lo più dagli spumanti ma poco dal vino imbottigliato.

Andando a vedere cosa succede in Toscana, a rendere sono i vini rossi e rosati, mentre i bianchi sono in notevole calo. La stima della produzione vinicola ha riportato il valore delle bottiglie toscane a recuperare il livello pre-crisi del 2008. Insomma, una situazione un po’ luci ed ombre. C’è poi un fenomeno che passa spesso inosservato: tra il 2000 ed il 2010 il numero delle aziende vinicole toscane si è più che dimezzato - sono meno di un quarto rispetto a trent’anni fa - mentre la loro superficie media è raddoppiata.

Questo succede perché in Italia, escluse le storiche famiglie vinicole, chi la fa da padrone nel settore, in maniera spesso nascosta, sono banche e assicurazioni. Veri e propri giganti abituati ad occuparsi di finanza ed economia che nell’ultimo decennio hanno deciso di diversificare i rischi occupandosi anche di attività agricole, ettari e grappoli.

Nella nostra regione, per esempio, un noto gruppo tedesco è proprietario, tra le altre, di ben 14o ettari proprio nella zona del Chianti Classico. La domanda a questo punto è: la struttura organizzativa, la perfetta macchina tecnico/burocratica dell’azienda votata al profitto ed al prodotto industriale è dunque riuscita a soppiantare la produzione artigianale e quel vino frutto - Soldati ci soccorre ancora - dell’italianità verace, rappresentata da “una civiltà anarchica, scontrosa, ribelle”, in cui “l’uomo di valore, come il vino prelibato, schiva ogni pubblicità: vuole essere scoperto e conosciuto in solitudine, o nella religiosa compagnia di pochi amici”?.

La nostra prima meta, per affezione al trascorso studentesco, è stata l’Azienda Agricola di Montepaldi, nel Comune di San Casciano in Val di Pesa, di proprietà dell’Università degli Studi di Firenze. Eravamo curiosi di vedere la villa medicea che fa anche da supporto alle attività didattiche e ricerca della Facoltà di Agraria ma abbiamo trovato tutto chiuso. Le ferie sono sacre anche per chi si occupa di vino, quindi ripasseremo in giorni migliori. Gli altri produttori che ci hanno accolto, chiedendo di restare anonimi, ci spiegano subito che per le loro aziende medio - piccole le strade da poter praticare sono poche.

La grande distribuzione a chi produce piccoli volumi non permette un guadagno congruo. La fornitura presso hotel, ristoranti ed attività commmerciali ha il problema dei saldi e dei pagamenti, che un’azienda piccola non può permettersi di affrontare. Rimane come unica via d’uscita l’export, ma per poter affrontare i mercati esteri bisogna avere una struttura capace di rispondere ad esigenze di competenze specifiche e investimenti di rischio. Le risposte sulle reti d’impresa sono recise: impossibili. Impossibili perchè la competizione tra produttori è molto forte, e non si è riusciti, ad esempio, ad organizzare qualcosa di inoffensivo come una rete d’acquisto tra i diversi produttori che permettesse con acquisti collettivi l’abbssamento dei prezzi di beni strumentali come bottiglie e tappi.

La cooperazione è impossibile anche per un carattere spesso taciuto del mondo del vino, ovvero che le piccole cantine sono spesso investimenti scientemente a rimessa per i proprietari, i quali non hanno un reale interesse imprenditoriale a renderle fruttuose ma sono interessati ad avere un vino all’occhiello appuntato sulla propria giacca. Come poco funzionali sono fiere come “Vinitaly” dove presenziano a centinaia perdendo del tutto qualità e sperimentazione a vantaggio di consumo e quantità. Come si esce da questa impasse? Ritrovando un reale spirito di aggregazione, instaurando un nuovo modo di fare sistema, creando delle nuove figure all’interno di consorzi, investendo nella presentazione e supportando le aziende oramai esposte ad un mercato mondiale.

Testo di Lapo Cecconi, Gianluigi Visciglia, Jacopo Naldi. Foto di Eva Bagnoli.

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