Rossi rivoluziona la sanità toscana: "Scure sulle Asl, da 16 a 3" . E Arezzo non c'è

Il presidente della Regione: "Risparmi milionari con i dipartimenti". Lui pensa a un sistema sanitario articolato sulle tre città universitarie. Solo lì le nuove aziende

 Il presidente Enrico Rossi con Sergio Chiamparino (Ansa)

Il presidente Enrico Rossi con Sergio Chiamparino (Ansa)

Firenze, 20 ottobre 2014 - «AVEVO in mente questa riforma quando ero assessore alla sanità. Ora bisogna mettere le vele al vento, anche se so benissimo che tira aria di tempesta. Noi vogliamo mantenere la sanità pubblica, vogliamo continuare a tutelare le fasce di reddito più basse, offrendo servizi di alta qualità. Ma non mi sembra sbagliato chiedere un contributo in più a chi ha più soldi». Si è ritagliato il ruolo di pontiere, Enrico Rossi. Il governatore della Toscana dovrà mediare tra le ire delle altre Regioni, pronte a minacciare la rivolta fiscale, e i diktat del premier Renzi, che chiede tagli del 2% alle spese, soprattutto sulla sanità.

Ma invece della cautela, Rossi alza la posta. «Ho intenzione di proporre al consiglio regionale - spiega il presidente, dopo aver anticipato l’idea a SkyTg24 - una riforma strutturale della sanità. Dopo aver razionalizzato la rete ospedaliera e aver attuato una programmazione di area vasta, chiederò di procedere a una drastica riduzione delle aziende sanitarie. Dalle 12 attuali, più 4 aziende ospedaliere, passeremo a 3 aziende sanitarie ospedaliere, concentrate nelle aree vaste e collegate alle università toscane».

Quindi ci saranno tre aziende a Firenze, Pisa e Siena?

«Preferisco chiamarle aziende del Tirreno, della Toscana del sud e della Toscana centrale. Manterremo un solo direttore generale e un direttore amministrativo per le tre le aziende, mentre resterà un direttore sanitario a livello provinciale. Che dovrà raccordarsi con il territorio, con un comitato d’indirizzo formato dai sindaci delle città capoluogo o dai presidenti di provincia».

Il risparmio sarà negli stipendi dei direttori?

«No, quei tagli sono un’inezia. Il vero risparmio sarà con l’istituzione dei dipartimenti nelle varie discipline sanitarie. Qui si produrranno i guadagni veri. Non è un processo di accentramento, le specialità potranno essere collocate nei diversi punti dell’azienda, valorizzando le vocazioni specifiche. Il dipartimento sarà il vero luogo di destinazione delle risorse, dove eliminare doppioni e risparmiare sui dirigenti».

Taglierà di più di quello che le chiede il Governo?

«Io accetto la sfida sui costi e sulla qualità. Abbiamo il miglior servizio sanitario d’Europa, che costa meno rispetto alla Germania, al Regno Unito, alla Francia. E’ un servizio pubblico, già ora ha accessi differenziati per reddito. Io voglio salvare questo servizio, lottando contro gli sprechi e tutelando le fasce più deboli, le prime vittime dei tagli lineari».

Per questo pensa al superticket per i redditi sopra 50mila euro?

«Mi chiedono di eliminare quello che non è livello essenziale di assistenza. Ma la metà di quei 100 milioni va al volontariato per il trasporto socio-sanitario, un milione alle parrucche oncologiche, 10 milioni per i computer che servono ai malati di Sla. Prima di tagliare questo, preferisco chiedere un contributo a chi ha un reddito di 2.500-3mila euro netti mensili, su interventi chirurgici costosi. Chiamatelo superticket, ma è un sistema per mantenere una sanità pubblica. E con l’aiuto delle assicurazioni il sacrificio è minimo».

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