Firenze, 5 novembre 2012 - L’avrebbero poi chiamata Primavera Araba. Ma quando irruppe sullo scenario mondiale, la rivolta nel Maghreb sembrò un terremoto improvviso e imprevedibile, come imprevedibili sono i terremoti.
Nessuno - né le diplomazie, né i giornali, né i servizi segreti e nemmeno Al Qaeda - aveva colto i segni di quella che sarebbe divenuta una svolta storica paragonabile alla caduta del Muro di Berlino.
Perché un’ignoranza così nera? Perché gli osservatori guardano ai regimi e non alle società. La risposta è di Lapo Pistelli, parlamentare, responsabile esteri del Pd e docente universitario. Questa risposta è una delle chiavi del suo libro "Il nuovo sogno arabo- Dopo le rivoluzioni", edito da Feltrinelli.
Freschezza da instant-book ma rigore di opera storiografica, Pistelli racconta e interpreta questo terremoto a effetto domino che si è esteso al Golfo Persico e al Medio Oriente, con il quotidiano bagno di sangue degli ultimi mesi in Siria.
Restando nella metafora, Pistelli definisce la Primavera Araba come la "tempesta perfetta", che si crea per il contemporaneo concentrarsi di avverse condizioni atmosferiche e che ha effetti più devastanti di quella che sarebbe la somma degli elementi concorrenti.
Il libro cita la Bbc che nel 2011 ha contato 107 suicidi di protesta nei Paesi arabi. Segni di disperazione ignorati dall’Occidente per la prigrizia mentale con cui da noi viene visto il mondo musulmano e che si riassume nel termine "eccezionalismo", nel senso di ritenere queste società "eccezioni, incapaci di generare e vivere nella democrazia".
La disperazione nel Maghreb ha nella crisi economica mondiale e nell’impennarsi della disoccupazione una spiegazione superficiale. Quella profonda è demografica: la popolazione giovanile cresciuta in modo quasi esponenziale. Una gioventù ad alta scolarizzazione, con tanti laureati, senza lavoro, frustrati, senza speranza. E’ stato proprio questo sottoproletariato intellettuale il protagonista delle rivolte organizzate e guidate con un uso magistrale della Rete. Una gioventù che non bruciava la bandiera americana e non urlava slogan antioccidentali ma voleva abbattere i corrotti regimi autocratici e chiedeva e democrazia e riforme economiche.
Il libro di Pistelli contiene ipotesi poco battute dai media. A cominciare dall’innesco dell’"incendio arabo", il cui protagonista è stato il giovane ambulante tunisino Mohammad Bouazizi a cui era stata sequestrata la mercanzia, qualche chilo di banane e mele: la colpa era vendere il venerdì, giorno sacro, davanti alla moschea. La versione entrata nella storia è che lui, per protesta, quel 17 dicembre del 2010, si sia cosparso di benzina e si sia dato fuoco, morendo venti giorni dopo. La testimonianza di un amico di Mohammad è diversa. Si sarebbe trattato di un incidente: il giovane aveva solo minacciato di immolarsi e che nella colluttazione con una poliziotta l’accedino si sia acceso avvolgendolo nelle fiamme.
Altra "novità" introdotta da Pistelli è la guerra civile in Libia. Qui la protesta si sarebbe saldata con un colpo di Stato in preparazione. Le vittorie degli islamici moderati nelle elezioni seguite alla cacciata dei dittatori laici hanno in parte tradito la "rivoluzione" dei giovani che non avevano una rete capillare e radicata nei decenni come quella dei Fratelli Musulmani.
E a livello internazionale chi ha tratto vantaggio dalla Primavera? Non certo l’Europa divisa e balbettante che invece sarebbe stata l’interlocutore naturale delle nascenti democrazie arabe. La Primavera è diventata invece una formidabile opportunità per una rinata egemonia ottomana. La Turchia con la sua economia che marcia incurante della recessione, con il suo stato laico che rispetta ogni confessione religiosa e al cui governo c’è Recep Erdogan, leader di un partito islamico moderato, una sorta di Dc dalla mezzaluna; la Turchia con le sue fiction e i suoi film che inondano le tv musulmane di tutto il mondo, si offre, ed è convincente, come stella polare delle nuove istituzioni arabe.
di Pino Miglino
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