Firenze, 19 settembre 2012 - Nato per vincere. Sempre. "Se le partite non si mettevano per il verso giusto, addio. Si andava avanti finché la sua squadra non vinceva", racconta l’ex compagno di giochi Riccardo.

Nel Renzi di ‘Adesso’ c’è la traccia incancellabile di un’infanzia da Renzino la peste, un bambino che "da grande voglio fare il giornalista", sognando però di avere i piedi di Antognoni o Baggio. Il calcio, una monomania. Con tutti quegli Almanacchi zeppi di informazioni da mandare a memoria. E poi il tifo per la Fiorentina: cuore viola forever. Ci ha anche provato, sulla via del pallone, ma non era cosa: dopo una lunga trafila in tutti i settori giovanili della Rignanese, ha deciso di fare l’arbitro. Da piccolo, giocava con gli amici sotto casa: alla pista (da pattinaggio) della chiesa.

"Quando nella conta per la scelta dei giocatori gli capitava di discutere o di non trovarsi d’accordo con qualcuno, lui, che quasi sempre portava il pallone, lo prendeva e si smetteva di giocare. Fine". Paolo Nannoni descrive Matteo bambino, come vederlo: praticamente un riassunto del candidato senza paura alle primarie del centrosinistra per correre da premier.

Nannoni è il braccio destro di babbo Renzi, Tiziano, che, a dispetto del nome, è sempre stato democristiano: un gran signore della Dc, poi trasmigrato nel Pd (di cui ora è segretario di circolo), in un paese arcirosso della rossa Toscana, a 30 chilometri a Sud di Firenze, puntando verso Roma: Rignano sull’Arno.

Il paese della Renzi’s family conta 3.500 abitanti nel centro abitato, 8mila e tot su tutto il territorio comunale. Non è cresciuto in una metropoli il giovane Obama italiano. Sempre Nannoni, ai tempi di Renzino arbitro che non aveva ancora la patente, lo accompagnava alle partite e restava allo stadio per riportarlo a casa: "Gli arbitri rischiano di beccarsi parecchie offese alla mamma. Non mi pareva il caso".

Siamo nel 1993, in Italia qualcosa si muove, anzi molto si è già mosso. Tra l’anno di Mani pulite e l’anno della più famosa discesa in campo della storia politica contemporanea: comincia l’era Berlusconi. Matteo Renzi ha diciott’anni, li ha compiuti l’11 gennaio: a giugno ha ottenuto la maturità al liceo classico Dante, a Firenze, in piazza della Vittoria. Un anno prima rispetto ai compagni. Perché Renzino la peste ha fatto tutto prima. "Ha imparato a leggere il giornale a cinque anni e lo leggeva a voce alta, per tutti - dice Nannoni -. Quando ha fatto la primina, e allora non era una moda, sapeva già leggere e scrivere e tenere di conto".

A scuola, all’elementare De Amicis, era il pupillo della maestra Eda Caldini Buonamici: ora lei non c’è più, ma Matteo è stato il suo orgoglio. Lo ha sempre detto. "Prendeva voti altissimi, era bravo, il primo della classe", racconta Riccardo. Ci tiene però a dire che Matteo non era un secchione. "Studiava il giusto, gli piaceva molto leggere, e sapeva già difendersi molto bene a parole: usava un linguaggio appropriato, forbito, insomma sapeva parlare. Una caratteristica che gli è rimasta. Ma a quel tempo soprattutto ci piaceva giocare e giocavamo a tutto. E lui voleva sempre e solo vincere".

Già, vincere. "Giocavamo a calcio, anche in casa, con il pallone di gommapiuma. A casa di Tiziano, che aveva un corridoio lungo lungo - dice Riccardo -. Poi giocavamo a subbuteo, a tappini, facevamo interminabili tornei di ping pong, gare in bicicletta".

Non solo la scuola, i giochi, il calcio e l’amore per la Fiorentina. Nell’infanzia di Renzino la peste c’è la parrocchia e la formazione da boy scout.

"Era un leader, un leader per natura", racconta don Giovanni Sassolini, il parroco che ha preso per mano Renzino la peste. Serviva messa, Matteo. "Un bravo chierichetto", dice don Giovanni che ora è vicario generale della Curia di Fiesole.

"Approfittavo della sua disponibilità anche perché abitava di fronte alla chiesa e a me non piaceva fare il don Camillo da solo, a portare la croce ai funerali". Poi uno sketch da morire dal ridere: "Aveva dieci anni e il ciuffo, si divertiva a buttare i capelli indietro con la mano: nello spettacolo parrocchiale fece l’imitazione di Vittorio Sgarbi. Quanto ci siamo divertiti".
 

di Ilaria Ulivelli