Firenze, 3 giugno 2012 - «HO SEMPRE PENSATO che chi è chiamato a governare Firenze sia al servizio della città e non che la città sia a servizio e uno strumento utile al perseguimento di ambizioni personali». E’ netto nel circoscrivere i motivi del suo addio. Duro e puro Claudio Fantoni, uno dei ‘superstiti’ della prima giunta Renzi, si dimette da assessore al bilancio, patrimonio e casa del Comune. In piena rottura col sindaco. Fantoni gli aveva scritto una lettera, un mese fa, preoccupato per i conti di Palazzo Vecchio. Lui gli ha risposto con un sms.

E’ MANCATO il dialogo, dunque. Di più, la condivisione del mantenimento in ordine dei conti, del rispetto del ‘doloroso’ patto di stabilità. Fantoni si è sentito troppo solo. «Ho continuato a svolgere ostinatamente — dice — il lavoro affidatomi fino nelle ultime ore ma, con particolare riferimento a insanabili divergenze in ordine alle procedure e alle azioni da mettere in atto relative alla gestione economico/finanziaria dell’ente, quindi alla sicurezza dei conti, non posso che considerare venute meno le condizioni perché io possa proseguire coerentemente nell’esercizio delle deleghe affidatemi, quindi nel rapporto di collaborazione con il sindaco Matteo Renzi».
 

 

Solo e schiacciato dal fardello poco leggero del bilancio comunale, ieri ha comunicato la sua decisione al sindaco. Irrevocabile. «Non sono ricorso al richiamo delle rituali ‘ragioni personali’ — spiega l’ex assessore —. Le mie dimissioni sono dovute esclusivamente a motivi di carattere politico e amministrativo e intervengono in assenza di qualsiasi paracadute, ovvero trasferimento ad altro incarico compensativo». Sottolinea più volte che la scelta gli costerà un bel po’, che si tratta di una questione di coerenza. Fantoni tornerà a fare il corista del Maggio musicale fiorentino, «un lavoro che avevo ottenuto — tiene a precisare — vincendo un pubblico concorso nel 1996». Un’uscita rumorosa, quella di Fantoni dalla giunta, la quinta di un assessore in ordine numerico, la terza con schiaffo dopo Cavandoli e Cianfanelli.

 

«NEI PROSSIMI mesi sarò con ogni probabilità un lavoratore in cassa integrazione», dice facendo riferimento alla situazione di crisi del Teatro: «Questo mio lavoro è a rischio, insieme al salario che è l’unica fonte di sostentamento di cui dispongo per me e eper la mia famiglia». Una scelta in coscienza. Una scelta fino in fondo. Un acuto prima di uscire di scena: «Ho sempre pensato che chi svolge un ruolo pubblico e amministrativo lo debba fare in una logica di servizio alla cosa pubblica, quindi in favore della collettività».

di ILARIA ULIVELLI