Firenze, 8 novembre 2010 -  NON chiamateli leader. Perchè, lo dicono all’unisono, «la parola leader porta una ‘sfiga’ bestiale». Ma la verità è che Matteo Renzi e Pippo Civati parlano e si muovono da leader. Nè potrebbe essere diversamente dopo i tre giorni della Leopolda, consacrati da quasi settemila presenze in sala e da 30mila contatti sulla diretta video in streaming sul web. In qualche modo legittimata persino dai fischi (pochi o molti non conta) dell’assemblea romana dei circoli del Pd organizzata da quello stesso Bersani che a Firenze ha preferito non venire.

 


In ogni caso Renzi e Civati non chiedono posti, e la motivazione è semplice: «lo spazio ce lo prendiamo da noi». Perché non hanno alcuna intenzione di aspettare che venga il loro turno o il loro tempo perché la frase d’ordinanza, quella che campeggia fuori dalla Stazione Leopolda è una sola: «Al passato grazie, al futuro sì».
Insomma Firenze e la sua «carta» lasciano una traccia evidente e la kermesse è stata chiusa con parole d’ordine precise: politica, bellezza, vento. Politica che deve riconquistare dignità, bellezza che «salverà il mondo», vento della passione per il rinnovamento e il cambiamento.

 


Cosa chiedono al Pd? "Di essere il partito capace di tenere la spina attaccata con la società. Perché il ‘solco’, le radici e la storia del partito, tanto sbandierate dal segretario Pierluigi Bersani non possono diventare una fossa». "Da Firenze — ha concluso Renzi — ci mettiamo in gioco, senza chiedere posti, perché abbiamo sogni concreti da condividere, da Firenze, laboratorio della curiosità, opponiamo il coraggio alla paura".

 


La platea, stregata, applaude. In tre giorni non è mai scesa al di sotto delle duemila presenze in sala. Un risultato eccezionale per chi, in fondo, a parte qualche spezzone di Willy il Coyote, Benigni, cartoni animati e film cult, ha solo parlato di politica. Forse nel modo più dispersivo possibile. Oltre cento interventi tutti rigorosamente limitati a cinque minuti e ognuno con una parola chiave a scelta. Si è sentito di tutto: dai problemi del sud a quelli dell’ambiente, dalla disperazione dei precari a quella di chi non sa come fare ad amministrare un piccolo comune. Tutti uniti da un collante straordinario: cercare una soluzione senza dover rinunciare ai sogni. Di una società giusta, di un lavoro guadagnato per merito e non rifiutato per clientelismo, della possibilità di avere una casa, di riuscire qui a far camminare idee e progetti, senza dover emigrare, pur con tutti i titoli accademici possibili, all’altro capo del mondo.

 


"Bersani — ha detto Renzi — ci ha rimproverati di non amare abbastanza la ditta. Che è un modo che non ci piace per definire il partito, il nostro problema infatti è che il partito lo amiamo troppo, e vogliamo vederlo vincere per risolvere i problemi degli italiani". "Noi — ha aggiunto — non siamo un pericolo per il Pd, in questi giorni abbiamo unito, non diviso e non faremo correnti o spifferi, abbiamo fatto una cosa inedita ed entusiasmante e abbiamo dimostrato che la politica non è una parolaccia». Netta la posizione sul futuro prossimo: "Per andare nella terza Repubblica — ha spiegato Civati — non bisogna avere solo un nuovo leader, non ci vuole una legge elettorale e un governo tecnico di transizione, variabile dai tre mesi ai 602 anni. Nella prossima Repubblica si va in altro modo, con una cultura politica diversa". Meglio le elezioni quindi, con un rigoroso controllo: primarie per tutti e "niente casting veltroniani come è successo nel 2008".

 


E dalla Leopolda sul web, è stata depositata la 'carta di Firenze': con un già difficile miniprogramma: dimezzare i parlamentari per spendere la metà; premiare i meriti invece di anzianità e clienterismo, sì alle unioni civili e meglio la banda larga che il Ponte sullo stretto, no al cemento selvaggio, sì invece al diritto di cittadinanza agli immigrati. E poi la riforma del fisco, del lavoro, la lotta alla rendita ... Il resto è solo rinviato alla «Prossima fermata» alla quale i settemila ‘costituenti’ della Leopolda sono già invitati.