Ora un'idea per il lavoro

L'editoriale

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 27 luglio 2014 - L’ottimismo è il sale della vita o il sale su una ferita? Ci aiuta a sperare che presto vivremo momenti migliori o ci fa bruciare di più sulla pelle, quelli, pessimi, che stiamo vivendo ora? Ve lo chiederete anche voi, quando ascoltate le contraddittorie analisi su una ripresa che sembra di scorgere e subito viene mortificata dalla previsione della Bce o di qualche accreditata agenzia di rating. Viene il dubbio che navighiamo a vista in un oceano di incoscienza e di iperboli, senza capire che cosa troveremo dietro l’angolo: un rettilineo o un muro. Mentre i numeri provano a restituirci un po’ di fiducia e le istituzioni iniettano nell’opinione pubblica la loro buona dose di (scontata) autopromozione, i giovani della porta accanto continuano a non trovare lavoro e chi ha perso il posto non sa a quale santo votarsi per recuperare uno stipendio. Nessuno può avere il coraggio, o la faccia tosta, per parlare di ottimismo a queste categorie annichilite dalla crisi. Anche il Berlusconismo si è retto su promesse e annunci, ha mietuto consensi e fiducia della gente, poi li ha dilapidati per le ambizioni e la litigiosità degli alleati.

IL RENZISMO, per lo meno, sta in piedi sulle sue gambe e il leader può litigare solo con se stesso (o con qualche separato in casa pd). Il pericolo che corre Renzi è quello di cadere nell’ambiguità: che gli italiani si stanchino del dinamismo inconcludente, delle battute e degli ultimatum (“Se non si fanno le riforme me ne vado”), che il premier ha usato spesso come forma di pressione. La sua prima sfida fu da candidato sindaco di Firenze: “Se non vinco le primarie torno a lavorare con il mio babbo”. Questa però non è una partita a poker. Sulle riforme si può scommettere e rinviare i tempi, sullo stipendio di una famiglia no. Ripensare le soprintendenze è un esercizio necessario, perché non è vero che «con la cultura non si mangia» (Giulio Tremonti). Almeno in Italia. Ma Renzi sa bene che entro l’anno è necessario un altro segnale agli italiani, come quello degli 80 euro in busta paga. Per fermare gli sgambetti di chi continua a giocare e a prendersi gioco dei tentativi di cambiamento. E per smentire chi sostiene che quella concessione, altro non era che una mossa elettorale. Ora elezioni in vista non ce ne sono, qui si parla di pagnotta. Allora, Renzi sa che il tira e molla sul Senato sta già stancando la gente. Lo sa perché il primo a stancarsi è lui. Gli osservatori sono curiosi di sapere come andrà a finire la partita sul commissario Ue (Mogherini o no): sarà importante per la politica e per l’orgoglio nazionale, ma non diventerà un passaggio che ci cambia la vita. Ciò che il premier non si può in alcun modo permettere, è il distacco dal Paese reale, proprio quel fronte popolare che ha riconquistato con il suo New deal. Scommettiamo su una prossima mossa, più immediata dei generici richiami alla crescita. Ci aspettiamo un intervento sul piano fiscale e sul mercato del lavoro, provvedimenti che trasformino l’ottimismo virtuale in beneficio per i cittadini, specialmente quelli in difficoltà. Ieri Uniocamere Toscana e Confindustria hanno diffuso delle cifre poco incoraggianti: la produzione industriale è calata nel primo trimestre dell’anno (-0,2%)e anche le piccole aziende hanno subito un arretramento dell’occupazione (-0,4%), solo le grandi imprese hanno tenuto. Ecco perché Renzi deve estrarre dal cilindro un’idea. Alla quale, probabilmente, sta già pensando.

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