L'emozione incredibile della Maratona di New York

Il racconto di Riccardo Ricci, del Team Fontanina

Team La Fontanina: Contini, Ricci, Lorusso, Pucci, Borselli, Lapenta, De Grazia

Team La Fontanina: Contini, Ricci, Lorusso, Pucci, Borselli, Lapenta, De Grazia

Firenze, 13 novembre 2014 - Brooklyn, attorno al quattordicesimo chilometro. Silvia mi fa:"Mi viene da piangere." Io le dico che sto ridendo da un quarto d'ora. Il giorno dopo la gara Simona mi dice che, malgrado la fatica, verso l'arrivo si è chiesta: "È già finita? Così presto? Perché questa festa non può durare ancora?" Io, nei primi chilometri dopo il ponte da Verrazzano avevo iniziato a pensare frasi o citazioni del tipo "Fermi tutti, questo è uno spettacolo," "la gente è il più bello spettacolo del mondo," o "il più grande spettacolo dopo il big bang," o altre più o meno storiche e magari più mie, poi non c'è stato modo di pensare a niente. Non al tempo cronometrico, se non per evitare di andare troppo forte. Neanche troppo al paesaggio, anche se ho fotografato mentalmente Brooklyn, bellissimo, con le sue case a mattoni, il Queens, il Bronx, Williamsburgh, alcune viste dello skyline di Manhattan che sembravano uscite da un film o da un fumetto.

Non c'è stato il tempo di pensare nemmeno tanto alla marea impressionante e coloratissima di atleti perché i battiti, di cuore e di piedi, e i respiri erano sopraffatti dalle grida del pubblico. "Questi sono scesi in strada per noi." Ecco. Questo l'ho pensato. Abbiamo corso dentro un urlo continuo, incessante. Un "Yeahhh, Goooo!" che ha continuato a rimbombarci in testa e nel cuore anche nei giorni immediatamente successivi. Il pubblico e gli atleti erano in simbiosi: loro correvano con noi e noi eravamo anche loro spettatori, estasiati come bambini davanti al loro cartone animato preferito. A ogni passo c'erano persone di tutte le età, di etnie e anche nazioni diverse che non si limitavano a reggere dei cartelli di incitamento, ma ti trasmettevano la loro energia e a volte la loro ironia.

"Chuck Norris non ha mai corso una maratona, gran lavoro completo sconosciuto, siamo con te sconosciuto a caso, le birre vi aspettano all'arrivo, sembrava una buona idea quando hai iniziato ad allenarti qualche mese fa, il dolore è temporaneo l'orgoglio è per sempre, siete tutti vincitori, siete più forti di quello che pensate, siete tutti vincitori, siete meravigliosi..." Come facevi a non battere la mano sui cartelli che dicevano che se lo avessi fatto avresti conquistato più forza? Come facevi a non cercare di battere il cinque a tutti, soprattutto ai bambini, e a volte a fare segno di chiederlo? Come facevi a non apprezzare l'offerta di cibo o acqua da parte della gente? Poi era opportuno rifiutarla, anche perché già i ristori ufficiali erano ben ogni due miglia. Come facevi a non inebriarti di sorrisi, di canti, di musica lanciata a palla, compresa quella dei più di cento complessi messi a suonare per noi? Più volte mi sono sorpreso di come fossero già passati quattordici, ventuno, ventiquattro chilometri e non me ne fossi quasi accorto. Andavamo a "ritmo folla". Eravamo immersi in una bolla energetica fatta di entusiasmo. Chiunque ti vedesse arrivare ti lanciava il suo "yeah, go!" e se avevi il nome scritto sulla maglietta te lo sentivi ripetere costantemente. "Go, Silvia!" l'ho sentito per tutte le quattro ore e dodici minuti in cui io e lei abbiamo corso insieme.

Come mi ha detto Simona era come se la gente ti guardasse negli occhi e sostenesse proprio te: dove te significa tutti i partecipanti.Era come se la gente facesse parte di te. Una volta lasciatici alle spalle il fuoco incendiario di Brooklyn (soprattutto: da qui in avanti il quartiere nel mondo con le persone più fantastiche,) e il Queens e una volta affrontata la dura salita del Queensborough Bridge, percorso senza pubblico, mi sembra al ventiseiesimo chilometro, abbiamo sentito un boato che si è trasformato in un rumore continuo. Ci stavamo dirigendo verso l'ingresso della First Avenue. Era come essere nei minuti di attesa prima che inizi un concerto, quando cresce l'urlo della folla che acclama il cantante. Stavano aspettando l'ingresso sul palco di ognuno di noi, ma non c'era nessun palco e nessuna divisione: ho visto anche alcuni atleti fermarsi e andare ad abbracciare gli spettatori, durante la gara. Sulla First Avenue è ripreso il delirio. Come a Brooklyn, ma con file di persone dietro le transenne (là assenti) ancora più numerose. Un gruppo di ragazzi si è sporto talmente tanto poco prima che gli passassi davanti che ho dovuto scansare l'ultimo della fila per non essere travolto. Intanto gli yeahh continuavano a rimbombare. Sembrava ci fosse una gara a chi incitava di più e più forte. Ho visto anche, più avanti in Central Park, un uomo uscire un attimo dai lati, avvicinarsi a un corridore in difficoltà e urlargli nell'orecchio sinistro:"Go! Go!" Lo ha seguito correndo con lui per qualche metro, spronandolo. Scene del genere non devono essere state infrequenti, negli ultimi chilometri, ma immagino che se non ci fossero state le transenne, tutti gli spettatori sulla First avrebbero cercato di materializzare ancora di più la simbiosi percorrendo davvero un pezzo di strada con ognuno di noi e continuando a urlare, incitare, magari a dare pacche sulla spalla. Noi ricambiavamo in tutti i modi possibili, magari, come io al Bronx, alzando le braccia in segno di giubilo e di ringraziamento verso un gruppo di ragazze di colore che stavano ballando al ritmo di Under Pressure dei Queen, che era trasmessa a tutto volume. Dopo uno dei tanti saliscendi duri che avevamo finito di percorrere, entrare nel quartiere accolti da quella musica era quello che ci voleva per rigenerarsi. E allora è per provare queste sensazioni, per vivere questa festa, questo coinvolgimento, questa esperienza di vita che definire corsa è limitativo, che fare la NYC Marathon merita, nonostante il prezzo, l'esistenza di tante altre maratone e la sua durezza.

Anzi, merita anche per quest'ultimo punto, ma in questo post tralascio la parte tecnica. E i giorni seguenti? Esci con la medaglia al collo e la prima persona che incontri per strada, una signora di mezza età, ti lancia un sorriso a trentaduemila denti e ti dice "Congratulations." Già. Perché una volta finita la gara, con gli incitamenti che sono continuati fragorosi e rimbombanti per tutta Manhattan, per la Fifth Avenue, per Central Park, è iniziata l'era dei "congratulationsgreatjob." Tutti lo dicevano: lo staff degli organizzatori, gli addetti alla restituzione dei bagagli, gli addetti a incanalare le persone verso le uscite, quelli che ti invitavano a entrare a riposarti negli appositi tendoni, quelli che lì ti offrivano cioccolata calda senza che tu l'avessi chiesta, quelli che lì ti fornivano ghiaccio o massaggi o assistenza infermieristica o medica, la gente per strada. Il lunedì il New York Times ha dedicato uno speciale alla maratona, titolandolo "The long and windy roads", mettendo la maratona in prima pagina e dando la classifica fino a chi ha percorso la gara in 4'56".

Anche leggere il tuo nome sul NYT fa parte delle emozioni di questa gara. Come fai, poi, a non commuoverti quando ritorni sulla First Avenue o a Brooklyn o a Central Park per un giro turistico? Oppure quando, dalle parti del Greenwich Village, un bambino vede la tua medaglia, dà uno strattone alla mamma, si volta verso di te e dice l'ennesimo "Congratulations." Come lui tanta gente in strada o nei locali si è profusa in complimenti, compresi il bigliettaio del teatro dove siamo andati a vedere il musical, uno degli addetti alla sicurezza del Madison Square Garden, un ragazzo in Union Square che si è tolto le cuffie mentre passeggiava, un gruppo di operai a Columbus Circle, un ragazzo adolescente che stava ridendo con delle amiche al Lincoln Center e si è fatto serio per congratularsi. Non si tratta di facciata: questa gente prova stima profonda, ha una vera cultura sportiva e probabilmente molti di coloro che non l'hanno ancora fatto inizieranno a correre grazie al nostro esempio: anche noi abbiamo trasmesso qualcosa a loro. Era una simbiosi, non l'ho già detto? Gare come queste sono cose che toccano e che restano indelebili nella memoria. Ogni tanto rivivo alcuni flash di quei momenti. Sono queste esperienze il vero motivo per cui vale la pena iniziare a correre, ma anche continuare ad allenarsi e a gareggiare, in attesa della prossima maratona. Che non dovrà essere una qualsiasi. Dovranno essere altri 42195 metri di godimento puro e dovranno esserci altri "pubblici meravigliosi" da ringraziare.

Riccardo Ricci (Team Fontanina)

è arrivata su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro