Banditi o Isis. Quanti volti ha la paura

Firenze, 28 novembre 2015, NOI maldetti toscani, come ci definiva Curzio Malaparte, siamo abituati a convivere con la paura. In terra di Toscana le battaglie fra campanili erano infatti frequenti. Perfino Dante Alighieri scese sul terreno in quella di Campaldino. La gente dei contadi, non doveva, certo, passarsela bene. Non meglio andava nell’Ottocento, epoca di briganti. Ad Arezzo avevamo Federigo Bobin, soprannominato Gnicche. Le sue imprese di brigante- giustiziere, che puniva i prepotenti a vantaggio degli indifesi, erano spettacolari e violente. In Maremma, regnava Domenico Tiburzi. Temuto e rispettato, era accolto e protetto dai contadini, che ne paventavano le ire.

Nella Lucchesia, dominava Tommaso Bartolomei dei Monti di Villa(Bagni di Lucca), detto Barbanera. Innumerevoli le sue rapine, perfino a diligenze e parrocchie. Finché i sette componenti della banda, escluso il contumace Barbanera, furono decapitati, come voleva il codice Napoleonico, a porta S. Donato a Lucca. Era il 22 aprile 1845. Fino agli eventi dell’ultima guerra, la gente non ha più conosciuto la paura. Ritornerà negli anni di piombo, sopiti i quali avremo a che fare con quella che stanno incutendo ladri e rapinatori, a cui si è aggiunta, adesso, quella dei terroristi islamici, le cui cellule dormienti possono celarsi ovunque. Insomma, siamo abituati a convivere con la paura, stato d’animo avvilente, che trasmette depressione e insicurezza, e non contribuisce, certo, a rendere migliore una società come la nostra, già afflitta da sin troppe magagne. Non per questo si deve cedere a tensioni immotivate. I nostri antenati dovrebbero averci lasciato gli anticorpi per contrastare, se non debellare, inutili fobie. Non dobbiamo fare il gioco degli avversari. Ne andrebbe della nostra dignità. I terroristi, diceva Walter Tobagi, non sono samurai imbattibili. Non lo sono mai stati. Né lo saranno adesso.