Un fiorentino ai confini dell’Isis: l’avventura di padre Bizzeti

Inviato da Papa Francesco in Anatolia. Ecco come si presenta

Padre Paolo Bizzeti

Padre Paolo Bizzeti

Firenze, 6 gennaio 2015 - Abbraccio con Firenze stamani in Duomo alla messa dell’Epifania (ore 10,30) per un Pastore figlio della chiesa fiorentina inviato dal Papa in Anatolia come vicario apostolico. Padre Paolo Bizzeti, 67 anni, gesuita, finora rettore della Patavina Residentia Antonianum e direttore del Centro per la formazione del laicato, ricoprirà la stessa carica di monsignor Luigi Padovese, accoltellato sei anni fa a Iskenderun, vicino ad Antiochia, non lontano dalla polveriera siriana e dalle bandiere nere del Daesh. Padre Paolo, con quale spirito affronta la sua missione in una terra così difficile? «L’accoglienza che ho ricevuto è stata così affettuosa e commovente che non si pò non cominciare volentieri un cammino con queste persone, che proprio perché da sei anni non hanno un Pastore sono molte grate a chi rappresenterà l’unità del gregge. E’ molto motivante, è chiaro che i timori ci sono». Si sente in pericolo? «Vado là a occhi aperti, è chiaro, ma mi sembra più importante spendere la vita per qualcosa che vale piuttosto che chiudersi in casa. E’ meglio domandarsi per cosa valga la pena vivere che essere ossessionati dalla paura di morire». Una delle emergenze è quella della gente in fuga dall’orrore della guerra e della persecuzione, come si affronta?  «I profughi cristiani che arrivano nelle nostre parrocchie hanno la priorità su tutto perché scappano dalla guerra e dal terrorismo, anche perché hanno un’esperienza di vita cristiana che fa bene alle comunità che le ospitano. Il mio impegno sarà perché possano essere aiutate lì, ma con molta discrezione. L’aiuto ai poveri è una delle priorità di qualunque pastore».  Di Firenze cosa porterà sempre con sé? «I valori della città aperta al mondo nella quale sono cresciuto, come ci ha insegnato La Pira, una città vivace dal punto di vista ecclesiale, sempre aperta al dialogo. Bisogna tenere alto il livello di civiltà che Firenze ha avuto nei secoli: è stata la culla dell’umanesimo e il Papa ci ha invitato proprio da Firenze a un nuovo umanesimo; anche il mio modo di intendere la religiosità è rivolto a tutto ciò che umano e a valorizzare ciò che ci umanizza». Lei fa parte della grande famiglia del Progetto Agata Smeralda: come si sviluppa il vostro rapporto?  «Agata Smeralda sarà il partner numero uno di tutto quel che riguarda il rilancio del vicariato apostolico di Anatolia, sia per l’aiuto ai poveri sia per una serie di contatti e di ponti da costruire. Voglio ricordare a tale proposito anche l’associazione Amici del Medio Oriente che è anche lei nata non a caso a Firenze fondata da amici come Leonardo Dallai, Marco Seracini, Carla Alati, Marco Carraresi e tanti altri, che negli anni ’90 vennero con me in Siria e da allora si sono presi cura del Medio Oriente. Un’amicizia e una collaborazione ormai ventennale».

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