Caterina, una vita accanto al babbo malato, scrive al nostro direttore: "Grazie della secchiata d’acqua. Mi ha ridato un po’ di ottimismo"

Questa la lettera che Caterina ha scritto al nostro direttore dopo la doccia gelata per contribuire alla campagna di sensibilizzazione contro la Sla

A Figline

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Firenze, 26 agosto 2014 - Questa la lettera che Caterina ha scritto al nostro direttore dopo la doccia gelata per contribuire alla campagna di sensibilizzazione contro la Sla

SCRIVO in merito al Suo per me importantissimo editoriale di domenica. Sono Caterina, 36 anni, professione care giver: dal 2011 mi occupo di mio padre, affetto da Sla. Ho una laurea in Lettere e anni di lavoro in ambito universitario alle spalle. Sognavo di diventare giornalista. Poi, un giorno, dal nulla, la sentenza si è abbattuta come uno tsunami sulla vita di mio padre e sulla mia: inesorabile, incurante della distruzione che seminava. La Sla è la malattia di un’intera famiglia. L’impegno che richiede è costante e quotidiano. Fisicamente è pesante ma, emotivamente, è devastante: assistere all’improcrastinabile fine di una persona che ami sapendo di essere inerme, testimoniarne il declino un giorno dopo l’altro, è stato molto di più di quello che potessi sopportare e la mia mente è precipitata nel buio. La mia laurea, la mia tesi da pubblicare, i miei sogni sono finiti chiusi a chiave in un cassetto insieme alla mia giovinezza. Sto provando a riemergere, aggrappandomi con tutte le forze a mio padre, al suo coraggio, alla sua serena e inesauribile ironia e, in questo momento, vedere le secchiate gelide contro la Sla mi ha ridato un po’ di ottimismo. Nonostante tutte le critiche e i pareri discordanti, o forse proprio per questo, l’iniziativa ha fatto il giro del mondo richiamando l’attenzione sul morbo di Lou Gehrig e su quanto ad oggi sia ancora sconosciuto. Certo, se si parlasse concretamente anche di donazioni sarebbe meglio ma, sentirne parlare da tutti i media, vedere i video impazzare sulle bacheche di facebook mi ha fatto sentire, per un attimo, meno sola perché il dramma che si accompagna all’esperienza della Sla è quello della solitudine. Fatta eccezione per la generosità di singole persone, la malattia si affronta in totale solitudine: è questa la realtà dei fatti. E allora parlarne, parlarne, parlarne forse non servirà a raccogliere fondi, ma potrebbe servire a muovere le coscienze, potrebbe servire a coinvolgere l’opinione pubblica, potrebbe aiutare a creare una rete di solidarietà perché, mi creda dr.Mancini, la Sla è molto meno rara di quello che si pensa e, se la mia situazione è difficile, rimango comunque una privilegiata rispetto ad altre situazioni con le quali mi sono confrontata. Con questa mia, desidero solo ringraziarla per la sua adesione e per quella di tutta La Nazione e chiederle. per favore, di non dimenticare, di non smettere di parlarne per dare voce a tutti coloro che non ce l’hanno più. Un cordiale saluto.  Caterina

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