In guerra con il futuro

L'editoriale

PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Firenze, 7 febbraio 2016 - Esci di casa e vedi le mimose in fiore, passeggi in riva all’Arno e scopri gli argini secchi come a settembre, giri l’angolo e scorgi un paio di turisti con le magliette a mezze maniche, vai a Careggi o in un parcheggio dell’immediata periferia e lo trovi invaso dai cinghiali, provi a respirare e ti inzuppi i polmoni di polveri neppure tanto sottili. A quel punto non puoi non chiederti che cosa ci sta accadendo. Una volta si diceva che non c’erano più le mezze stagioni, adesso sono le stagioni vere e proprie a non esserci più, amara conclusione che rappresenta l’abisso nel quale stiamo profondando.

Così comprendi perché un papa ha dedicato addirittura un’enciclica alla questione ambientale, perché i forum internazionali sulle emergenze climatiche siano gli appuntamenti più seguiti del pianeta. E capisci anche perché l’economia stia virando alla ricerca di strade che producano reddito per arginare il disastro annunciato. E ancora perché parte dei dibattiti più partecipati anche a livello territoriale vertano intorno al mondo che non c’è più e che vorremmo invece tornasse.

A quel concetto fondamentale che ha permesso lo svilupparsi della vita nella terra, quello dell’equilibrio. Lo ha detto bene il marchese Piero Antinori ieri su "La Nazione", commentando l’approvazione delle legge toscana che estende il periodo degli abbattimenti di ungulati, ormai fuori controllo numerico da essere pericolosi sia per l’uomo sia per la natura: manca l’equilibrio, l’equilibrio naturale.

L’uomo in varie forma l’ha turbato seguendo i propri interessi – magari con intenti legittimi, perché lo sviluppo ha comunque migliorato le condizioni di vita – e adesso la situazione complessiva è scappata di mano a tutti. Urge però una via d’uscita, pena la fine dell’esperienza umana sul pianeta una volta chiamato terra. Che passa dalla presa di coscienza collettiva che le abitudini stesse di ciascuno di noi dovranno mutare (il più delle volte chiamandoci a sacrifici) e dall’azione forte delle istituzioni, chiamate a governare il sistema anche a costo di scelte impopolari. L’equilibrio non torna da sé, serve un’impresa, servono tante imprese, serve la forza. Come in guerra, perché siamo in guerra. Con il nostro futuro.

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@pierderobertis

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