Firenze, 25 gennaio 2014 - Da Gino Boccasile a Federico Pedrocchi, dal "420" di Mario Nerbini (il grande editore fiorentino che creò il primo giornalino al mondo dedicato a “Topolino”) sino ai libri e ai quaderni di scuola. Nel periodo fascista, lo sforzo criminale di istigare al disprezzo verso gli ebrei passa molto attraverso fumetti, illustrazioni, materiale scolastico che ripropongono odiosi, assurdi  e banali stereotipi fisici (il naso adunco, labbra carnose, la barbetta) e caratteriali (l’avidità di denaro, la tendenza a complottare contro il bene comune) del popolo ebraico.

Così, un modo originale di celebrare la “Giornata della Memoria” è quello scelto dalla Fondazione Ambro Castiglioni, con la collaborazione dell’Archivio di Stato di Firenze e della Biblioteca Marucelliana con la giornata di studi “Matite Razziste” che si terrà martedì 28 gennaio all’Archivio di Stato e alla Marucelliana.
Un lungo excursus sul razzismo a fumetti (e non solo), accompagnato dalle mostre “A lezione di razzismo. Scuola e libri durante la persecuzione antisemita” (Archivio di Stato, a cura di Pamela Giorgi e Giovanna Lambroni, con Dora Liscia Bemporad) e “Dall’ebreo errante alle leggi razziali: immagini e documenti in Marucelliana” (Biblioteca Marucelliana, a cura di Annamaria Conte e Rosanna Cuffaro) entrambe fino al al 28 febbraio.

Anche un classico come il “Pinocchio” di Collodi diventa, negli anni ’30, strumento di antisemitismo, senza che l’autore fiorentino ne abbia, ovviamente, alcuna colpa, come spiega Giovanna Lambroni, curatrice della giornata di studi insieme a Dora Liscia Bemporad.

«Icona del “cattivo” nella letteratura per ragazzi —dice Lambroni— il Mangiafoco collodiano, illustrato in quegli anni, incarna la figura dell’ebreo stereotipato in caratteri somatici ben definiti: naso adunco, labbra carnose, capelli crespi e lunga barba caratterizzano Mangiafoco persino nella versione disneyana pubblicata nel 1940 dalla casa editrice “Il Marzocco”, avvicinandolo all’ebreo affarista e prestatore di denaro, ingannatore e furbo, mercante e banchiere, che sconfina nelle letture degli adulti divenendo protagonista di tante vignette satiriche, romanzi e storie a fumetti del periodo».
Di certo, nel regime fascista, come spiega l’esperto di storia del fumetto Fabio Gadducci, «la propaganda con immagini (cartoline, periodici umoristici, settimanali a fumetti) per fare accettare alla popolazione le leggi razziali, era considerata assai importante dalle istituzioni, le quali ben sapevano che, in una Italia ancora largamente illetterata, le parole d’ordine veicolate dalle immagini avevano una maggiore possibilità di essere recepite e fatte proprie dalla popolazione».

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