di TITTI GIULIANI FOTI

Firenze, 20 maggio 2013 - La sua forza era la sua rude solitudine. Una solitudine che spandeva sulla gente, e che si trasformava nella sua pazza famiglia. Riusciva a parlare con tutti e mi diceva spesso: mah icchè credi che io sia? Non ho religione e a volte neppure pensieri. Carlo Monni è morto, dire che era un attore e basta è davvero troppo poco. Aveva l'animo chiaro e limpido di un bambino, la stessa ingenuità, la stessa tenerezza. Ed era anche un poeta un po' maledetto anche nell'aspetto: i capelli al vento, la pancia rassicurante da oste della malora, i modi ruvidi e dolci. E alla fine, pochi mesi fa in scena anche teneri e insicuri. 

E' il ritratto di un uomo eccentrico che ha vissuto ai limiti della vita, conoscendone gioie e dolori, ma tentando sempre di schivare sia le gioie che i dolori. Non ha mai vissuto le  contraddizioni di una notorietà che porta a toccare il cielo con un dito e fa conoscere anche cadute rovinose. Il Monni è sempre stato lo stesso: sia che giocasse a carte al bar delle Colonnine con Benigni, Sannini e il Pachi, sia che recitasse osannato dallo zoccolo duro dei suoi tantissimi fans. E anche quando si è ritrovato solo e senza molta fortuna, ha aperto il suo grande cuore per nuove esperienze in scena, anche coi giovani, riuscendo a recitare cose folli e a fare un Pinocchio anche che non è mai esistito. 

Petto nudo e camiciaccia in un pugno, il Monni era un camminatore compulsivo: lo trovavi alle Cascine, come a Fiesole, sempre a piedi e spesso a torso nudo, abbronzato, quasi fico.

Mi diceva di essere cresciuto prendendo calci ma cercando di non restituirli quand’era possibile.

Era un romantico nel senso più alto del termine e recitava a memoria tutto Campana - avrà fatto decine di spettacoli su lui- ma anche Cardarelli, di cui molti hanno perso le tracce.

In una società perbenista e criticona come quella fiorentina la sua personalità così fuori degli schemi è stata non solo perdonata, ma vezzeggiata, amata, coccolata.

Un sacco di belle donne si sono innamorate del Monni e lui anche, teneramente e inaspettatamente se le coccolava al di fuori di questa sua famigliona allargata con grande riservatezza.

Fino alla fine ha vissuto al massimo delle sue possibilità di essere controcorrente: niente macchina, niente cellulare. trovarlo era sempre un problema immenso. Ci riusciva sicuramente solo Angelo Savelli, direttore e regista del Teatro di Rifredi.  La sua aria sbarazzina lo sguardo nostalgico e romantico, la barba mai fatta del tutto. Il Monni non era più lui da un po' di tempo, e gli amici lo sapevamo bene.

Se la vita è così breve, perchè a settant'anni sei ancora giovane,  se tutto è così caduco e imperfetto, la leggerezza del Monni diventa un valore. Fa assaporare ogni attimo, senza conoscere rimpianti: io credo che avresti meritato un epilogo diverso, meno sofferente. Perchè dietro quella risata grassa nascondevi un'anima profonda. Ti sia lieve questo addio, Carlo. Un po' come a noi.  Ciao anima ribelle: non meritavi tutta questa sofferenza.