Firenze, 9 novembre 2012 - Pochi altri festival, in Italia, sanno raccontare il presente come il Festival dei popoli, che si apre domani, 10 novembre, a Firenze, per concludersi il 17 novembre.

E’ uno dei più vecchi d’Italia, e anche dei più giovani. E’ passato più di mezzo secolo da quel 1959 in cui, nella Firenze illuminata, e viva, di Giorgio La Pira, si aprì il sipario sul festival. Che era dedicato al cinema di documentazione sociale.

Reportages, cinema-verità, giornalismo realizzato con le immagini. Sull’esempio di registi straordinari come Robert Flaherty, come Joris Ivens, come Jean Rouch, il festival cercava tutti gli sguardi “diretti” sulle cose, sulla gente, sulla Storia. E diventò, presto, il punto di riferimento di un’informazione diversa. All’inizio c’era un pubblico "un po’ da teatro, da opera", ricorda Maria Pia Tasselli, che sulla storia del Festival dei Popoli scrisse un libro, “Il cinema dell’uomo”: "Ma presto arrivarono gli studenti. Quelli di Lettere, di Architettura, tutti i giovani interessati al mondo che avevano intorno".

"Il punto di svolta - spiega - fu con il ’68, che in Italia fece sentire i suoi effetti di rinnovamento, di utopie, di sogno dall’anno successivo. Il festival diventò un punto di riferimento per tutti quelli che volevano un’informazione diversa, e che sognavano un mondo migliore. Solo lì si potevano vedere le cose che la televisione non trasmetteva. Le immagini del Vietnam non censurate, per esempio. Film che arrivavano a Firenze per vie tortuose, eludendo la censura. Il direttore del festival, Tullio Seppilli, si fece anche un paio di sere in carcere, per aver proiettato film scomodi".

Nel 1975 arrivò, tra gli ospiti, Jane Fonda: una star hollywoodiana che aveva abbracciato totalmente la causa del pacifismo: "Il suo arrivo fu un evento per le migliaia di spettatori. In generale - conclude Maria Pia Tasselli - credo che il Festival dei popoli abbia contribuito a spezzare il mito di un’America buona, senza macchia e senza paura, alla “arrivano i nostri”. E che abbia fatto risaltare le contraddizioni del sistema di informazione di allora. In un mondo senza youtube e senza Google, è stato davvero prezioso. C’erano persone che credevano davvero di cambiare il mondo. E il festival le ha rappresentate totalmente, nella loro sete di verità".

Adesso gli eskimo non ci sono più, ma i ragazzi - con la loro voglia di conoscenza, e di verità - sì. E anche, o soprattutto, a loro è dedicata questa edizione.

Un giro del mondo in 70 film, con un omaggio al regista e fotografo Raymond Depardon, con un film del gitano Toni Gatlif sugli “indignados” spagnoli, con il viaggio di Beppe Severgnini nell’America dei mesi che hanno preceduto le elezioni, intervistando la gente degli angoli più sperduti; con un film che attraversa la musica popular brasileira di Caetano Veloso e Gilberto Gil, un altro che racconta la stagione della disco music alla fine degli anni ’70, e uno – “Room 237” – che traccia una radiografia del capolavoro di Stanley Kubrick, “Shining”. E poi angoli dimenticati del mondo, ragazzini che vanno a fare i soldati in Russia, i viaggi contro il tempo di un’ambulanza in Romania. Troppo per raccontarlo in poche righe. Meglio andare a dare un’occhiata di persona. E’ anche il festival più giovane.

Perché il cinema documentario è, nel suo ultimo confine, quello delle immagini dei ragazzi di Teheran o del Cairo, le immagini rubate con i telefonini, degli sguardi rubati alle cose e gettati nel grande vortice di Youtube

di Giovanni Bogani