Perde un figlio nell'incidente, "Ho trasformato la tragedia in amore per il prossimo"

Tavarnelle val di Pesa (Fi), la storia di Vanna Vanni, che ha aiutato centinaia di bambini di Chernobyl

Vanna Vanni e, nel riquadro, il figlio

Vanna Vanni e, nel riquadro, il figlio

Tavarnelle Val di Pesa (Firenze), 24 ottobre 2017 - Quando il volontariato nasce da un dramma personale, uno dei peggiori che un essere umano possa trovarsi a vivere: la perdita di un figlio. E' la storia di Vanna Vanni, una donna di 64 anni che vive a Tavarnelle Val di Pesa.

Nel 1997 perse il suo figlio primogenito Matteo e, anche grazie all'attività di volontariato, che da allora assorbe buona parte del suo tempo, è riuscita a trasformare quel dramma in amore da donare al prossimo.

Oggi, dopo 20 anni, il suo gesto d'amore, che porta il nome del figlio, Matteo Fusi, è diventato un progetto umanitario che ha coinvolto e continua a coinvolgere un numero sempre maggiore di persone.

Nel mezzo c'è un mondo del quale Vanna racconta anche quei piccoli dettagli che costituiscono parte integrante di ciò che il progetto, grazie soprattutto al suo apporto, umano ed economico, è riuscito a diventare.

“Matteo era un ragazzo solare – ricorda – come il sole splendente di quel 20 luglio 1977, il giorno in cui è venuto al mondo”. Era invece il 6 settembre 1997, aveva da poco compiuto 20 anni, quando ebbe un incidente, mentre era alla guida della sua auto insieme a due amici. Un incidente che gli costò la vita.

“Sarebbe dovuto partire per un viaggio studio in Inghilterra, che lo avrebbe tenuto lontano da casa per due mesi – prosegue Vanna -. Per questo, quella sera, era andato a cena con i suoi amici Simone e Michele. Teo (il nomignolo con il quale Vanna lo chiama tuttora affettuosamente ndr) non beveva e non fumava. A lui però le auto erano sempre piaciute tanto e aveva da poco fatto il nuovo assetto alla sua Peugeot 206 cabrio. Su una curva, in salita, la macchina slittò e lui non aveva la cintura di sicurezza allacciata; per questo nell'impatto, violento, andò a sbattere la testa nell'intelaiatura in ferro della capote e riportò un forte tramua cranico. Non aveva neanche un graffio, solo un ematoma laterale, ma non si è mai risvegliato dal coma. E pochi giorni dopo, l'11 settembre, ci lasciò”.

Da lì la disperazione, profonda, inaudita, smisurata, che solo chi ha provato un dolore analogo può riuscire a comprendere. La disperazione di una mamma, di un babbo – il marito, Fabrizio, è un noto imprenditore di Tavarnelle – e di tre fratelli, tutti più piccoli di Matteo. Ma anche l'inizio della rinascita: quella che Vanna ha voluto compiere per far “rivivere” il suo “Teo”.

“Il giorno del funerale di Matteo, non mi ero resa conto di quanti fossero coloro che si erano stretti intorno alla nostra famiglia – dice ancora Vanna –. Ho visto alcuni giorni dopo una foto sul giornale e mi sono accorta che un fiume enorme di persone, sicuramente l'intero paese, si era fermato per rendere omaggio a nostro figlio. Non molto tempo dopo mi sono sentita dentro una forza, probabilmente l'amore per Teo, che mi esortava a fare qualcosa all'interno della quale mio figlio avrebbe potuto continuare a vivere”.

E così fu. L'associazione per l'accoglienza dei bambini di Chernobyl, esisteva a Tavarnelle già dai primi anni '90, essendo sorta a pochi anni di distanza da quel 1986 quando un incidente nella centrale nucleare, uno dei più grandi disastri della storia, provocò una massiccia fuoriuscita di materiale radioattivo che si riversò sulle aree limitrofe, ma che raggiunse anche molti Stati europei, fra cui l'Italia e la parte orientale dell'America del nord.

“Anche quando Matteo era ancora con noi – tiene a precisare Vanna – avevamo pensato di aderire all'iniziativa e dare la nostra disponibilità ad accogliere un bambino di Chernobyl, uno dei piccoli, orfani o con famiglia, ospitati dalle famiglie di Tavarnelle per cinque settimane due volte ogni anno, allo scopo di disintossicarsi dal cibo e dall'aria contaminati presenti nei luoghi dove vivono”.

L'ingresso nel progetto di accoglienza da parte di Vanna e di Fabrizio, ha dato tuttavia una nuova spinta propulsiva, all'impegno delle famiglie. “In seguito all'incidente di Matteo – continua – l'assicurazione ci riconobbe un risarcimento, che decidemmo di devolvere interamente all'associazione”.

E come segno di gratitudine l'associazione prese il nome di Matteo, diventando prima il Comitato progetto Chernobyl Matteo Fusi e successivamente il “Progetto Umanitario Matteo Fusi”, “affinché in futuro – precisa Vanna – si possa riuscire a coprire un ventaglio più ampio di iniziative”.

Insomma dal 1998, l'anno successivo alla perdita di Matteo, Vanna e Fabrizio sono diventati i coordinatori e i maggiori sostenitori del progetto del quale, oltre a curare la parte organizzativa, si accollano per intero le spese per il viaggio aereo di andata e ritorno di tutti i bambini, nonché degli insegnanti e degli interpreti che li accompagnano.

Durante la loro permanenza a Tavarnelle, i bambini continuano infatti a frequentare la scuola, proprio grazie alla presenza degli insegnanti madrelingua. Vanna e Fabrizio contribuiscono anche alla realizzazione dei necessari lavori di ristrutturazione di strutture pubbliche, come ad esempio le scuole, nei villaggi dove i piccoli vivono.

L'associazione lavora attualmente con i villaggi di Vyshemir e di Glybov. Inutile far notare a Vanna quanto è immensa l'opera di volontariato che oltre a compiere personalmente, si impegna ad estendere e diffondere a un numero sempre più alto di persone.

Quando infatti le viene detto lei risponde: “Nella morte di Matteo ci ho fatto rinascere la vita. La sua foto è esposta in tutte le scuole dei villaggi con i quali lavoriamo tanto che, quando i bambini arrivano in Italia e sfogliamo insieme un album con le immagini di Matteo, lo riconoscono subito. Conoscono la sua storia e sanno del suo incidente, grazie al racconto delle maestre, e quindi lo considerano un amico. Questo per me è un manifestare che lui c'è ancora e un modo per condividere il mio dolore con gli altri, facendo del bene. Il volontariato in fondo è proprio questo: una cosa che appaga e che restituisce tanto, ma che va fatta senza aspettative, solo per il piacere di donarsi”.

E quanto questo piacere sia per lei grande lo si capisce quando, parlando della sua attività di volontaria, lo fa con una gioia e un entusiamso, che sembra quasi impossibile possano essere scaturiti da un dolore così immenso.

“Da quasi 20 anni – continua Vanna – ospito un bambino di Chernobyl. Anzi, a dire il vero, in casa mia ce ne sono stati almeno tre alla volta e si sono sempre integrati con i miei figli. L'età dei bambini che ospitiamo va dai 6 ai 16 anni. Inizialmente venivano anche dall'orfanotrofio di Stankovo, ma poi era diventato un problema perché il legame che si stabiliva con le famiglie era troppo forte e, quando i bambini dovevano ripartire, il dolore era davvero tanto. Adesso i piccoli ospiti che arrivano dai villaggi della provincia di Rechiza, hanno tutti una famiglia, infatti portano con se' uno zaino con qualche piccolo cambio e dei souvenirs per noi. E' bello vedere come le loro famiglie facciano di tutto per dimostrarci la loro gratitudine. E noi ricambiamo acquistando loro degli abiti e occupandoci del mantenimento del bambino nel periodo di permanenza”.

Per un attimo gli occhi le diventano lucidi, quando il suo ricordo vola al primo bambino che ha ospitato, Victor. “Aveva 6 anni e i capelli rossi. Era timido e l'unica parola italiana che pronunciava bene era il mio nome. E' venuto a casa mia per 5 anni consecutivi, due volte per ciascun anno. L'ho rivisto dopo tantissimo tempo, qualche anno fa. Era diventato un uomo grande e grosso, alto quasi due metri che di quel bambino che ospitavo, conservava ormai soltanto i capelli di colore rosso e i suoi occhi, inconfondibili. Eravamo nella piazza principale di Rechiza, dove lui lavorava come autista di ambulanza. Quando i nostri sguardi si sono incrociati, ci siamo abbracciati a lungo e abbiamo pianto. Poi l'ho incontrato di nuovo qualche anno più tardi, mi disse che sua moglie aspettava un bambino: in quel momento mi sono sentita un po' la nonna di quel nascituro, è stata una bella sensazione sentirlo parte di me e quindi parte di Teo”.

Per il futuro del “Progetto Umanitario Matteo Fusi”, Vanna ha un obiettivo ben preciso. “E' quello di coinvolgere sempre più le famiglie, soprattutto quelle giovani, perché l'accoglienza di un bambino di Chernobyl costituisce un importante insegnamento da dare ai propri figli. Oltre a essere un'esperienza straordinaria, è un modo per aiutare concretamente dei bambini, per allargare le vedute e per imparare a condividere le azioni della vita quotidiana. Sono molto contenta perché quest'anno sono tre le giovani nuove famiglie che hanno aderito al progetto”.

Quando le chiedo se “racconta” mai a Matteo tutto quello che, anche grazie al suo impegno come volontaria, è riuscita a mettere in piedi, lei fa un grande sospiro, rivolge uno sguardo pieno d'amore alla bellissima foto di Matteo e risponde così: “Ogni anno, per l'anniversario della sua morte, gli facciamo celebrare una Messa e io scrivo sempre una lettera che leggo pubblicamente (questo è un piccolo estratto dell'ultima, pubblicata anche sulla sua pagina Facebook:  “Non finirò mai di ringraziare di ripetere la parola 'rinascere' perché veramente ora la vera vita è rinata in un cuore di mamma, una vita che porta con se' amore gioia serenità, voglia di vivere e di amare; figlio mio è questo che tu mi hai insegnato, mi hai fatto capire quanto di più bello al mondo ci possa essere, perché tu sei vivo in me; il tuo cuore batte in me e questa è la mia forza"). Mi accorgo che, ogni anno che passa, è sempre più facile rispetto al precedente, trovare le parole giuste da dire a Matteo. E, rispetto alle prime lettere, le successive sono sempre state più ricche di speranza e di serenità. La serenità che lui mi ha saputo regalare e che io restituisco ai miei figli, ai miei nipoti, ai miei amici e anche ai bambini che ospito. No, non c'è bisogno che io racconti a Matteo, niente di quello che faccio. Mi basta dare un'occhiata alla sua foto, lasciando che sia il nostro cuore a parlare”.

Il progetto di volontariato ha una pagina Facebook, di cui Vanna è amministratrice: “Progetto Umanitario Matteo Fusi” (questo è il link: https://www.facebook.com/groups/10150150344575704/).

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