Mostro di Firenze, dalla pistola ai delitti a orologeria: tracce sulla pista del dottore

Torna a far discutere la vicenda giudiziaria sui delitti che insanguinarono la Toscana

La scena del delitto degli Scopeti, una delle pagine della vicenda (New Press Photo)

La scena del delitto degli Scopeti, una delle pagine della vicenda (New Press Photo)

Firenze, 28 luglio 2017 - Ma quale sarebbe il ruolo del medico mugellano Francesco Caccamo nella nuova ricostruzione «suggerita» dai lunghi verbali dell’ex legionario Giampiero Vigilanti? E’ una versione che tutto sommato si sposerebbe, seppur con alcuni «aggiustamenti», con le verità giudiziarie raggiunte finora.

Non bisogna dimenticare, infatti, che all’ipotesi del mandante o dei mandanti, la procura aveva già pensato. Solo che il processo all’unico identificato, il farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei si è chiuso con l’assoluzione e la procura ha preferito non insistere su questa strada.

Dunque, l’ipotesi della «regia» riaffiora, nelle deposizioni di Vigilanti (sentito a lungo come persona informata sui fatti, prima che gli venisse formulata l’imputazione), solo che rispetto al passato potrebbe variare sugli scopi. Dai «mandanti gaudenti», schiavi del sesso, a qualcosa di più orchestrato ed eversivo, sempre se i primi sospetti venissero comprovati.

L’avvocato Vieri Adriani, nel suo esposto del 2013 che innesca la nuova inchiesta culminata nelle due iscrizioni sul registro degli indagati, suggerisce alcune chiavi di «rilettura» dei delitti e dei passaggi della pistola. A cominciare dal 1968: quello di Signa è un delitto che matura nell’ambiente dei sardi - la vittima, Barbara Locci, era la moglie di Stefano Mele, e aveva una relazione extraconiugale con un siciliano, Antonio Lo Bianco – ma che proprio per le origini dei due protagonisti necessità di un sicario «esterno» o quanto meno di qualcuno che armi la mano del Mele, che negli anni successivi renderà dichiarazioni altalenanti sui responsabili, chiamando in causa pure i Vinci.

E quello del 1974? E’ un altro duplice omicidio dai dettagli strani, visto che i vestiti vengono trovati piegati fuori dalla vettura in cui si erano appartati Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore. La Pettini, che era figlia di un partigiano, verrà oltraggiata anche con un tralcio di vite nella vagina, un dettaglio che si ritrova negli eccidi nazifascisti, ad esempio quello di Vinca, sulle Alpi Apuane.

Già perché in questa nuova rilettura, le vittime non sarebbero «solo» delle coppiette, ma persone finite in qualche modo nel mirino di questo gruppetto del fuoco di cui certamente avrebbe fatto parte il Pacciani. Con questa impostazione, è inquietante il dettaglio, ribadito più volte al processo, secondo cui Pia Rontini, uccisa nel 1984 alla Boschetta di Vicchio con il fidanzato Claudio Stefanacci, aveva rivelato alle persone a lei vicine di aver avuto l’impressione di essere stata pedinata, forse avvicinata. Nel 2015, i carabinieri del Ros «batterono» insistentemente Prato sulle tracce delle conoscenze di Rolf Reinecke, tedesco dalle marcate simpatie neonaziste, amico di Vigilanti, che dopo la separazione dalla moglie si era trasferito da Prato a Giogoli.

Aveva affittato una porzione di una villa situata proprio davanti alla piazzola dove i due omosessuali tedeschi avevano parcheggiato il loro Volkswagen. Anche lui perquisito nell’immediatezza, gli vennero trovate pistola ma non la calibro 22. Il più grande mistero nel mistero: come sia passato di mano, se è passata di mano, e dove sia finita. Forse nemmeno questa seconda indagine riuscirà a far luce su questo aspetto.

è arrivata su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro