Fine vita, da Barbiana l'appello. Gesualdi: "Il mio corpo come fosse nel cemento"

Michele Gesualdi, ex allievo di don Milani, malato di Sla, ha scritto una lettera-apello ai presidenti di Camera e Senato per accelerare la legge sul testamento biologico

Michele Gesualdi

Michele Gesualdi

Vicchio (Firenze), 1 novembre 2017 - Un appello accorato, che arriva direttamente dal cuore della terra di don Milani. E' tutto scritto nella lettera che Michele Gesualdi, malato da 3 anni di Sla, ex allievo di don Milani nella scuola di Barbiana, ha scritto ai presidenti di Camera e Senato per accelerare l'approvazione della legge sul “fine vita”.

La missiva è stata letta a Radio Radicale dove era presente in studio la figlia di Gesualdi, Sandra. Michele oggi non si muove più, è prigioniero del suo stesso corpo "come fosse immerso in una colata di cemento". Ma il cervello, per contrappasso, rimane lucidissimo, insieme alle sue finestrelle, gli occhi, che rimangono l'unico modo per comunicare.    

La lettera integrale di Michele Gesualdi (clicca qui)

"La Sla - scrive Gesualdi per mano della figlia Sandra - è una malattia spaventosa, al momento irreversibile e incurabile. Avanza, togliendoti giorno dopo giorno un pezzo di te stesso: i movimenti dei muscoli della lingua e della gola, che tolgono completamente la parola e la deglutizione, i muscoli per l’articolazione delle gambe e delle braccia, quelli per il movimento della testa, respiratori e tutti gli altri".

L'ex allievo di don Milani è un cattolico di ferro però, ci tiene a presisare nella lettera appello, "vivo questi interventi come se fosse una inutile tortura del condannato a morte prima dell’esecuzione". "Per i malati di Sla la morte è certa, e può essere atroce se giunge per soffocamento. C’è chi sostiene che rifiutare interventi invasivi sia una offesa a Dio che ci ha donato la vita. La vita è sicuramente il più prezioso dono che Dio ci ha fatto e deve essere sempre ben vissuta e mai sprecata. Però accettare il martirio del corpo della persona malata quando non c’è nessuna speranza né di guarigione né di miglioramento, può essere percepita come una sfida a Dio. Lui ti chiama con segnali chiarissimi e rispondiamo sfidandolo, come se si fosse più bravi di lui, martoriando il corpo della creatura che sta chiamando, pur sapendo che è un martirio senza sbocchi". 

Dunque Michele scrive questa lettera, come spiega lui stesso, perché in caso di grave crisi respiratoria, potrebbe essere sottoposto a un intervento tracheotomia, come in caso di difficoltà a deglutire, i medici potrebbero ricorrere alla gastrotomia endoscopia percutanea. Ecco Michele non vorrebbe questo, non vorrebbe ritrovarsi come "uno scheletro di gesso con due tubi, uno infilato in gola con attaccato un compressore d’aria per muovere i polmoni e uno nello stomaco attraverso il quale iniettare pappine alimentari. Per quanto mi riguarda in modo molto lucido ho deciso di rifiutare ogni inutile intervento invasivo ed ho scritto la mia decisione chiedendo a mia moglie di mostrarla ai medici affinché rispettino la mia volontà".

"Quando mia moglie e i miei figli mi hanno visto ridotto ad uno scheletro dovuto alla difficoltà di deglutire, mi hanno implorato di accettare almeno l’intervento allo stomaco per essere alimentato artificialmente, perché sarebbe stato un dono anche un solo giorno in più che restavo con loro. Questo mi ha messo in crisi e ho ceduto anche per sdebitarmi un po’ nei loro confronti. A cosa fatta, confermo tutti i motivi dei miei rifiuti, che consistono nel fatto che non sono interventi curativi, ma solo finalizzati a ritardare di qualche giorno, o qualche settimana, l’irreparabile, che per il malato significa solo allungare la sofferenza in modo penoso e senza speranza". 

Ecco perché Michele ha deciso di scrivere questa lettera, per non essere "inutilmente torturato". E' un accorato appello per dire 'no' all'accanimento terapeutico : "Per l’insieme di questi motivi sono a pregarvi di calarvi in simili drammi e contribuire ad alleviarli con l’accelerazione della legge sul testamento biologico. Non si tratta di favorire l’eutanasia, ma solo di lasciare libero l’interessato, lucido cosciente e consapevole, di essere giunto alla tappa finale, di scegliere di non essere inutilmente torturato e di levare dall’angoscia i suoi familiari, che non desiderano sia tradita la volontà del loro caro".

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