La sfida di Ilaria, bioingegnere comandante: "Così proviamo a vivere su Marte" / FOTO

La fiorentina Cinelli, 31 anni, guida la missione 172 nel deserto dello Utah. E spiega perché non si sente "cervello in fuga"

Ilaria Cinelli con la tuta spaziale

Ilaria Cinelli con la tuta spaziale

Firenze, 2 gennaio 2017 - Ha festeggiato il nuovo anno su Marte, o almeno nel posto più simile al ‘pianeta rosso’ che si possa trovare sulla Terra: il deserto dello Utah. E’ lì che la fiorentina Ilaria Cinelli, 31 anni, ingegnere biomedico laureata a Pisa e adesso in corso di dottorato all’Università di Galway, Irlanda, guida la missione 172 del Mars Desert Research Center. Simulare le condizioni di vita e di lavoro su Marte è l’obbiettivo del gruppo di "sette talenti", come li chiama lei, perfetti sconosciuti che fino al 15 gennaio vivrà nella base installata nello stato sud-occidentale degli Usa, il cui deserto "offre clima, paesaggi e varietà geologiche analoghe a quelle marziane, combinazioni uniche che non si possono avere in altri deserti", spiega.

E non ci immaginiamo un noioso topo di biblioteca: Cinelli è una ragazza sempre armata di sorriso e di un entusiasmo travolgente. "Io mi diverto tantissimo – dice – e con il mio lavoro realizzo un sogno". Cinelli fa parte dell'Italian Mars Society, che supporta la missione fornendo sensori inseriti nell’elmetto della tuta marziana.

Si parla molto di italiani costretti ad andare all'estero, specie in ambito scientifico. Pensa che sia una scelta obbligata, poiché la scienza difficilmente può essere  rinchiusa in confini geografici, oppure lei si è sentita costretta a cercare ambiti lavorativi all'estero? 

"Io non sono un cervello in fuga, sono una ragazza che sta concretizzando il suo sogno con le sue stesse mani. Ho deciso di seguire questo sogno durante i primi anni dell’Università. Vivevo già a Londra prima della fine della specialistica in ingegneria biomedica. Io non sono scappata dall’Italia, sono emigrata per cercare l’esperienza professionale che il mio Paese non poteva offrirmi in quel momento. Non è una critica all'Italia. Diventare astronauta da ingegnere biomedico è un gran passo, se considerate che non ho mai fatto parte dell’aviazione italiana. La mia è stata solo una scelta per inseguire un sogno. Il problema è il rientro. Dopo i miei primi riconoscimenti in questo ambito, ho cercato di rientrare ma ho trovato la porta chiusa. Con la mia esperienza voglio dare un messaggio di speranza a coloro che hanno difficoltà. La realizzazione professionale non ti viene regalata, te la devi guadagnare. E’ difficile da credersi ma i sogni possono diventare realtà! Io sono fiera di essere italiana perché, grazie a quella porta chiusa, sto girando il mondo con i pochi soldi che ho, ho vissuto esperienze uniche nell’aerospaziale e ho conosciuto persone da ogni parte del mondo che mi incoraggiano ad andare avanti. Ho, quindi, trovato il coraggio di fare della mia vita quello che voglio che sia". 

uali sono gli obbiettivi della vostra missione e quali gli ostacoli più impegnativi che vi preparate ad affrontare?

"L’obiettivo finale è l’allenamento del singolo alla resistenza fisica e mentale, alla gestione di risorse in ambienti estremi e confinati, allo sviluppo e all’innovazione della futura tecnologia. Sono comandante del gruppo 172, selezionata da Mars Desert Research Station (Mdrs). Ciascun membro del gruppo ha almeno un progetto di ricerca da svolgere nell’arco della missione. Il mio gruppo è composto da sette giovani talenti internazionali fortemente motivati a raggiungere un proprio obiettivo professionale, quale contribuire significativamente all’esplorazione spaziale. Uno dei miei compiti è guidare il gruppo a un unico obiettivo comune: il successo della missione. Come comandante ho il compito si assicurarmi che i progetti siano svolti come dovere secondo le regole, che il gruppo riconosca di essere un’unica entità nel fallimento e nel successo, e di far emergere tutto il loro potenziale. Il successo si basa nell’accettazione comune delle nostre diversità, il che non è banale... se considerate che siamo dei completi estranei! Ho anche altri progetti in carico tra cui uno studio sul sonno, l’utilizzo della realità virtuale e la divulgazione della fisiologia spaziale per giovani studenti. Molte persone non reggono lo stress da isolamento proprio delle missioni marziane. La missione si svolgerà nel bel mezzo del deserto a circa tre ore di macchina dalla città più vicina. In questo contesto, la sopravvivenza stessa è dura. Ho il compito di insegnare al gruppo come gestire i propri limiti per andare avanti come un'unica entità.

Qual è la vostra giornata-tipo e quale preparazione fisica è necessaria?

"La giornata è scandita da attività comuni (come pulire e cucinare) e i ruoli sono distribuiti equamente. Solitamente l’attività extraveicolare si svolge in mattinata per motivi di sicurezza. Durante queste ore gli astronauti possono svolgere attività (all’aperto) come raccogliere campioni geologici, usare droni per l'esplorazione, cercare acqua nel sottosuolo.... Secondo le regole di Mdrs-Mars Desert Research Center ogni membro deve essere abituato all’allenamento fisico intenso molto prima della missione. La società non allena i membri selezionati ma sconsiglia fortemente ai dipendenti (di fumo, alcool e altro) di non candidarsi. La perseveranza e la costanza in una preparazione atletica professionale non sono legate ai titoli di laurea...".

Come è stato scelto il luogo della missione?

"L’habitat (Hab) è un cilindro con diametro otto metri costruito nel 2001 e adattato ad ospitare almeno 7 membri. Oggi l’Hab è connesso al Musk Observatory (osservatorio astronomico) e alla GreenHab per art greenhouse. L’isolamento della struttura consente lo svolgimento di ricerche altamente specifiche come l’impatto dei fattori umani in isolamento. Il deserto dello Utah offre clima, paesaggi e varietà geologiche analoghi a quelle marziane. Queste sono combinazioni uniche che non si possono avere in altri deserti. Queste missioni hanno lo scopo di facilitare l’adattamento a una nuova natura, una natura estrema che il nostro Pianeta riflette".

Lei si è laureata all'università di Pisa: cosa pensa della rete universitaria italiana?

"Ho dei bellissimi ricordi dell’Università di Pisa, dove ho trascorso degli anni indimenticabili. L’Italia ha un potenziale notevole e non ci investe. Questo è il mio punto di vista per molti aspetti della nostra cultura (dalle Università ai beni artistici). L’ambito in cui lavoro è molto ristretto per cui non mi sono mai fatta grandi aspettative a riguardo. Credo che una migliore gestione possa dar respiro alle nuove generazioni. Non servono grandi riforme, basterebbe che le Grandi Cariche fossero ricoperte da persone realmente qualificate per quel ruolo. Non dobbiamo emigrare per realizzare un sogno, dobbiamo uscire dal sistema. E’ dura ma io ci sono riuscita".

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