"Ho finto di essere incinta e nessuno mi ha dato un lavoro"

Mamme e occupazione, la nostra inchiesta: "Tra i titolari c'è chi mi ha riso in faccia"

Il cartello di un negozio che cerca personale (New Press Photo)

Il cartello di un negozio che cerca personale (New Press Photo)

Firenze, 19 febbraio 2017 - Ho finto di essere una ragazza incinta, ho indossato una giacca larga e mi sono armata di curriculum e di un giornale di annunci di lavoro. Ho deciso di chiudere nel cassetto la laurea e ogni ambizione con la speranza di raggiungere al più presto l’obiettivo: dimostrare che una donna può trovare un impiego anche se al secondo mese di gravidanza. La mia impresa è iniziata la mattina ed è andata avanti fino a sera. Ho passato al setaccio bar, negozi, forni, locali e ho cercato di immedesimarmi nel ruolo della ragazza che ha assolutamente bisogno di quello stipendio. Ma sono tornata in redazione con una convinzione: «Firenze non è una città per mamme». Non è nient’altro che lo specchio di un paese in cui le ingiustizie che hanno come bersaglio le lavoratrici non sono ancora state debellate.

Lo confermano i numeri. E lo ribadiscono i sindacati che quotidianamente si ritrovano a raccogliere denunce di donne vittime di mobbing. Ma per le storie di ognuna l’appuntamento è davanti al datore di lavoro, al primo colloquio: qualcuna per nascondere la pancia indossa addirittura dei corpetti contenitivi, altre assicurano di stare bene e di rimanere a casa non più di due settimane. Io non ho usato giri di parole: con tutti ho messo subito in chiaro «Sono incinta». E puntualmente sono stata messa alla porta con un «No grazie».

AL PANIFICIO - Nei pressi della stazione Santa Maria Novella, un foglio appiccicato con un labile nastro adesivo ci invita a entrare: «Cercasi apprendista» si legge sulle vetrine di un panificio della zona. Una signora ci accoglie con un sorriso. «Cerco lavoro, ho già un’esperienza di diversi anni in un forno, in un bar e anche in un locale. Parlo l’inglese e lo spagnolo, so fare tutto. C’è un annuncio fuori: posso essere io la persona che cercate». La fornaia ci chiede età, precedenti lavorativi, città di residenza. Ci invita anche a tornare e a lasciare un curriculum. «Allora passo domani – dico -, è stata gentilissima. Ma voglio essere sincera: sono al secondo mese, aspetto un bimb..». Mi interrompe. Non ho nemmeno il tempo di finire la frase che sono interrotta: «Abbiamo turni massacranti, saltiamo riposi, non possiamo nemmeno prendere malattie. Non c’è posto per te, ci dispiace. Inutile anche che lasci il curriculum: il titolare se sa che sei incinta lo strappa».

AL BAR - «No, assolutamente no. Non se ne parla nemmeno, mi è già capitato. Una seconda volta proprio no». Ride e mi guarda dall’alto in basso. Mi fa sentire ridicola. Proprio così: il barista che mi accoglie nel piccolo caffè non lontano dal Duomo, mi guarda come se avessi perso il cervello. Se non stessi fingendo di essere incinta forse sarebbe riuscito nel suo intento: mi sarei sentita per davvero una matta. Eh già, è un’assurdità per lui cercare lavoro al secondo mese di gravidanza. Per mandarmi via mi fa: «Guardi risparmi tempo e non stia nemmeno a tornare. Non se ne parla nemmeno, quando arriva al settimo mese io cosa faccio? Devo cercarne un’altra? Pagarne due magari? No».

NEL NEGOZIO DI ABBIGLIAMENTO -  «Parlo inglese, francese, spagnolo. Ho già lavorato come commessa, mi sono trasferita da poco e cerco lavoro. Ho visto che anche voi cercate personale. Come faccio ad avere un colloquio?». Entro diretta, col sorriso, mi faccio vedere motivata. Do la mia massima disponibilità e flessibilità. Dico anche di avere già esperienza nel settore. Sono convincente e il personale resta colpito dalla mia intraprendenza. E’ cordiale e mi spiega come fare a lasciare un cv: «La aspettiamo, ce lo invii o per mail, l’indirizzo lo può leggere sulla porta, o torni a trovarci e lo porta direttamente in negozio». E’ bastato che io dicessi «di essere al secondo mese» per ribaltare completamente la situazione. La disponibilità e il sorriso con cui il personale mi ha accolto, appena una manciata di istanti prima, ha lasciato di colpo il passo a un «Ci dispiace, no non possiamo accettare. Non dipende da noi ma è così, il lavoro è lavoro».

NEL NEGOZIO DI ACCESSORI - A pochi passi dal Duomo mi fermo davanti a un negozio di accessori: «Cercasi apprendista/commessa». Questa volta ho deciso di non perdermi in chiacchiere e di essere più diretta: «Cerco lavoro ma sono al secondo mese» dico appena entro. Una delle ragazze che sistema le borse resta spiazzata. Non se l’aspettava. E non sa cosa dirmi, guarda la collega «No, guardi» sussurra. Non mi do per vinta, insisto: «Ho letto che cercate personale, una mia amica mi ha detto che è per un nuovo punto vendita. Io ho esperienza, conosco le lingue, sono affidabile. Non ve ne pentirete». Le due ragazze sono mortificate, si legge negli occhi: «Davvero, non possiamo. Cerchiamo persone per un negozio di prossima apertura, ci serve disponibilità immediata e totale. Sei al secondo mese, quando arrivi al settimo diventa un problema, ci tocca formare una nuova persona» ripetono. Me ne vado con l’amaro in bocca. E sempre più convinta: «Firenze non è una città per mamme».

 

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