Non è una città per commercianti. Chiude più di una bottega al giorno

Al posto dei negozi aprono i b&b: così siamo cambiati in 16 anni

Le attività che hanno fatto la storia cittadina sono da tempo in crisi

Le attività che hanno fatto la storia cittadina sono da tempo in crisi

Firenze, 22 maggio 2017 - Leggi: sconti dal 50 all’80 per cento e magari batti anche le mani pensando a qualche affare a buon mercato da mettere alla svelta in borsa e portare a casa. Però poi ti rendi conto che è un’altra attività che saluta e se ne va. La geografia commerciale del centro di Firenze sta cambiando tanto che basta davvero qualche settimana di distrazione per non ritrovare più la stessa cartolina. Che le cose non andassero benissimo per le botteghe cittadine è cosa abbastanza nota: ma fa effetto leggere per la prima volta i numeri che fotografano un fenomeno preoccupante, analizzato in un arco temporale che abbraccia gli ultimi sedici anni. E in cui si evince una moria di negozi inarrestabile: nel 2016 hanno chiuso 379 attività, più di una al giorno. Nel 2000, invece, furono soltanto 169 i negozi che avevano abbassato la saracinesca mentre nel 2010 sono stati 256. A parlare sono i dati dell’elaborazione della Camera di commercio sul Registro Imprese. Se rimane costante il numero di chiusure relativo alle attività artigiane (152 nel 2000 e 149 nel 2016) prendono però il volo le imprese che lavorano con turisti e quelle che hanno incentrato il proprio business sull’alcol alimentando la baraonda infernale. Quindi: Firenze è sempre meno una città di commercianti, e sempre più una città che fa del turismo fai-da-te la sua peculiarità.

Uno dei fenomeni più importanti è quello degli affitti informali e per brevi periodi come B&B e affittacamere. Dal 2009 al 2016, e quindi negli ultimi sette anni, le strutture di questo tipo sono quasi raddoppiate passando da 460 a 846, il numero tiene conto solo delle attività regolarmente registrate. E non considera quindi il sommerso, tutti quegli appartamenti affittati anche per pochi giorni senza lasciare traccia. Una crescita esponenziale, basti pensare che nel 2000, in centro, hanno aperto 13 bed&breakfast, nel 2016 ben 122. E’ la potenza dei tempi che cambiano, di una città che sta perdendo pezzi di identità. Di una città dove le bandierine di Coca Cola e i lunghi tubi di meringhe hanno preso il posto dei prodotti legati alla tradizione.

È un po' quello che è successo con i minimarket, i piccoli esercizi spuntati come funghi negli ultimi anni. Era il 2010 e, nel giro di sette mesi, gli alcolici hanno subito dimostrato di avere più forza e appeal della spesa di tutti i giorni. Così è nato il primo minimarket in via Ghibellina, la strada che dal Bargello porta ai viali passando per alcuni dei palazzi storici più belli della città, oggi insieme a via Palazzuolo, la strada più bersagliata di alcol shop. Dai dati emerge che non solo i minimarket resistono alla crisi ma addirittura crescono: se nel 2013 erano 456, nel 2014 sono diventati 471, nel 2015 489 e nel 2016 ben 493. Perché? La crisi, le tasche sempre più vuote, i registratori di cassa che battono scontrini sempre più a fatica. Salvare il centro è la grande partita che Palazzo Vecchio ha intenzione di vincere. Il Regolamento Unesco, infatti, è la più importante scommessa mai giocata per ‘difendere’ l’identità storica della città. E per allontanare quelle che il sindaco Dario Nardella chiama attività di bassa qualità.

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