Parla Cognigni: "Firenze, ripartiamo insieme"

Nostra intervista esclusiva al presidente esecutivo della Fiorentina

Mario Cognigni, presidente esecutivo della Fiorentina (foto Riccardo Germogli)

Mario Cognigni, presidente esecutivo della Fiorentina (foto Riccardo Germogli)

Firenze, 23 settembre 2017 - Presidente, ci risiamo: dopo i rosiconi sono arrivati gli avvoltoi.

«Gli avvoltoi? Credo che ognuno abbia i suoi», Mario Cognigni sorride dopo una breve pausa. Il proponimento si legge nello sguardo: sorvolare.

Ma chi sono?

«Allora insiste… Gli avvoltoi sono quelli che non ti vogliono bene per intenzione. A prescindere. Sono quelli che è tutto sbagliato e sempre da rifare. Insomma, chi cerca uno spiffero per trasformarlo in tempesta. Troviamo l’entusiasmo, piuttosto, questa squadra è piena di energia e ne ha bisogno».

Ci sono gli avvoltoi ma anche l’uomo nero: è lei?

«Io sono abituato a lavorare duro. Dietro le quinte. Il mio mestiere è quello di decidere e di fornire indicazioni: lo faccio, assumendomi le responsabilità ma anche dando piena fiducia e autonomia ai collaboratori. Credo sia importante far crescere il gruppo, senza cedere al protagonismo. Evitando di accentrare il potere su un’unica figura. Il mondo del calcio è pieno di personalismi ma credo che questo sia anche un suo limite, soprattutto quando l’obiettivo è il gioco di squadra. In un’orchestra il direttore dà le spalle al pubblico ma è lui che riesce a far decollare l’armonia, accordando tutti i suoni. Evidentemente la gratitudine è un sentimento in estinzione. E forse chi non vuol vedere, nella penombra preferisce non distinguere i profili». 

Allora accendiamo la luce: la Fiorentina è in vendita?

«Se un imprenditore serio arriva in una città, fa rinascere e poi crescere la squadra investendo e continuando a investire soldi per quindici anni, mettendoci 300 milioni guadagnati faticando, ma non trova traccia di riconoscenza, cosa deve fare? I soldi sono suoi. E guardi che il mercato internazionale non regala niente a nessuno».

Se i Della Valle si sono stancati siamo alla fine. L’incertezza si mangia il futuro.

«Perché la vede così? Ci sono progetti che galoppano e la società sarà valorizzata».

Parla del nuovo stadio e della cittadella viola?

«Non solo di quello. Ma al nuovo stadio stiamo lavorando con serietà. C’è un progetto bellissimo che stiamo portando avanti. Il nostro impegno c’è e la dimostrazione autentica, non contestabile, è nelle risorse che gli abbiamo dedicato, oltre ai costi sostenuti, indicati a bilancio. Siamo in attesa di certezze che arriveranno con la Via dell’aeroporto e con gli atti che Palazzo Vecchio sta predisponendo per lo spostamento del mercato da Novoli. Noi aspettiamo i permessi».

Non solo stadio, dice. Quali altri progetti per la città?

«Stiamo lavorando alla ricerca di un grande spazio che possa accogliere il nuovo centro sportivo giovanile per far crescere talenti. Pensi che ora siamo costretti a gestirlo – così come succede per la squadra femminile – in strutture obsolete, del tutto inadeguate al necessario sviluppo. Per questo ci eravamo affacciati al centro dell’Olimpia, solo per valutare le condizioni dei campi da calcio. E per poco non siamo stati bollati come l’orco che si vuol mangiare i bambini. Forse non si sa che a quel bando, già assegnato, la Fiorentina non avrebbe nemmeno potuto partecipare. Esclusa a priori».

Il vostro progetto però prosegue altrove.

«Il vivaio è una specie di cassaforte in cui far maturare i valori anche per una nuova stagione del calcio italiano. Un investimento importante per la nostra società. Giocatori da coltivare, far sbocciare e accogliere in prima squadra. Il consiglio d’amministrazione giovedì scorso ha deliberato lo studio di fattibilità per il nuovo centro sportivo giovanile. Si va avanti».

C’è anche un progetto di affetti? Avete intenzione di legarvi più profondamente a questa città?

«Un legame è un amore, non si può progettare, bisogna viverlo. Sicuramente vogliamo sempre abbracciare la città e i tifosi che ci vogliono bene. Siamo partiti dal calcio storico che ne è l’anima più popolare e antica. E andremo avanti con nuove iniziative e collaborazioni con istituzioni, eccellenze della città».

Sarete più presenti?

«Ciò che conta non è la presenza fisica, non è timbrare il cartellino: esserci vuol dire metterci il cuore e i soldi, crederci, sentire la maglia viola cucita addosso come una seconda pelle. Esserci significa affrontare i problemi e cercare di risolverli al meglio. Guardarsi in faccia e confrontarsi. Con coraggio, lealtà e con la grande forza della sincerità. Esserci vuol dire onorare Firenze e la sua squadra, portandola in alto. Sempre. Ogni anno, come è stato fatto, al meglio delle nostre possibilità e con il contributo significativo dei Della Valle».

Siamo all’anno della rifondazione, azzerato il passato si ricomincia dalla linea verde. Dove potrà arrivare questa squadra?

«Lo vedremo, crescendo insieme. E per insieme intendo i giocatori, i tifosi, la città, la società e i media. Solo se stiamo uniti, lottando tutti per lo stesso obiettivo possiamo farcela».

Dunque?

«Mi piacerebbe che ci riuscissimo senza caricare l’ansia come zavorra, prendendoci il tempo per diventare squadra. Giocando con umiltà, divertendoci e facendo divertire credo si possa ambire all’Europa. Nulla è certo: è un assioma che vale per tutti. Nel calcio si fanno investimenti sul capitale umano: non esistono certezze assolute. Ma questo progetto non si esaurisce in una sola stagione, è iniziato un nuovo ciclo di cui raccoglieremo i frutti continuando a coltivarlo con passione».

Resta il fatto che bisogna far quadrare i conti: la società deve funzionare in autofinanziamento. E sono arrivate critiche pesanti perché non sono stati reinvestiti nel mercato i soldi derivanti dalle plusvalenze realizzate con le vendite milionarie.

«In regime di autofinanziamento, bisogna capire che per una società di calcio non esiste solo il mercato. Voglio dire che non è l’unico capitolo di spesa, anche se è il più importante, insieme a quello degli ingaggi e alla gestione delle spese correnti. Il nostro disegno prevede investimenti importanti di cui ho appena parlato, servono soldi per costruire un futuro solido: se non ci sono, i progetti restano sogni che non si possono realizzare. E allora, addio futuro. Perché nel calcio, oggi, i giocatori quando vogliono andarsene lo fanno. Ne abbiamo avuta riprova».

La scommessa a vuoto su Mario Gomez è stata un colpo alla voglia di investire?

«Mario Gomez, Pepito Rossi e anche altri acquisti sono stati il frutto di un’intuizione: essere i primi a partire con il financial fair play ci avrebbe dato un grande vantaggio nei confronti di chi non poteva spendere. Purtroppo non è andata bene: gli infortuni, il numero ridotto delle squadre che potevano partecipare alla Champions, ci hanno penalizzato. Resta il fatto che ci abbiamo provato. Stavolta sono io a farle una domanda: crede che lo abbiamo fatto per passione, per attaccamento alla maglia, per la voglia di condividere un sogno con questa città, o per convenienza? Oggi questo non è più possibile. Come le ho detto stiamo sfruttando altre idee per crescere».

Quali sono i prossimi obiettivi?

«Continueremo a gestire la squadra al meglio. Con Pioli si è instaurato un grande feeling; l’obiettivo è di vedere belle partite, con un calcio veloce, muscolare, tecnico e di fantasia. Ma bisogna anche rendersi conto della realtà: il sistema calcio in Italia è fallito, se respira ancora è solo perché è attaccato alla macchina dei diritti televisivi. Entrambe le Leghe sono commissariate. Le difficoltà per l’assegnazione dei nuovi diritti televisivi evidenziano un disegno di fondo che tende a elargire molto di più alle squadre importanti, a quelle che parteciperanno alla Champions, riducendo il valore della competizione nazionale».

C’è il rischio di restare strangolati?

«E’ un meccanismo perverso che genera disuguaglianze, chi ha un bacino medio viene risucchiato tra le piccole e non c’è scampo. Per uscire dal tritacarne servirebbe una proprietà che ogni anno fosse disposta a metterci dentro decine, centinaia di milioni, comunque rispettando i limiti del financial fair play. E non esiste, almeno in Italia, glielo assicuro».

Eppure spendere sul mercato per i tifosi sembra la miglior garanzia per il successo.

«Questo è un mondo governato dal Dio denaro. Ma la passione non si compra. E io credo che senza passione si rischi l’estinzione delle emozioni. Nulla di più pericoloso per il calcio. Mi spiego: vincere per vincere è una grande soddisfazione, non c’è dubbio, piace a chiunque. E diciamo anche che più risorse si investono sul campo e più è facile mettere insieme tanti campioni. Bisogna però ricordare che la ricetta per il successo non è garantita. E che se i soldi continueranno a essere l’unico valore in campo, il calcio, trasformato in un’immensa holding, si mangerà tutto il resto. La magia del gioco, l’ambizione di ogni bambino di diventare un campione, che dipenderebbe a quel punto unicamente dalla possibilità di avere accesso al club più ricco. Si mangerà il sogno di vincere di tutti quelli che non appartengono al gotha dei più danarosi».

Un destino irreversibile?

«Tutto questo sta succedendo e in gran parte è già accaduto. Per questo credo che si debba salvare il calcio, ripartendo dai valori. Dalla passione per il gioco più bello del mondo. Dalla capacità di far crescere i talenti. Dalla personalità che ciascuna squadra sarà in grado di esprimente nella sua unicità. Grazie a tanti fattori. Anche quelli ormai dispersi dell’attaccamento alla maglia, della fedeltà ai propri valori. Dal desiderio di dare il massimo per vincere insieme. Noi vogliamo provarci, partendo da qui. Dai giovani che hanno voglia di crederci. Insieme».

Presidente, ci sono i progetti, c’è l’entusiasmo, c’è un ciclo verde appena cominciato: tutti segnali che potrebbe essere arrivato il momento giusto perché i Della Valle riscoprano un amore mai sopito e tornino a fare un passo avanti. C’è questa possibilità?

«Io credo che i grandi amori non finiscano mai».

 

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