Firenze, 15 maggio 2014 - ORE 9.04 di venerdì scorso. Riccardo Viti siede davanti al sostituto procuratore Paolo Canessa. Il maniaco di Ugnano, il cacciatore di prostitute, l’uomo che crocifigge le donne. Eccolo qui. Negli uffici della squadra mobile della questura che, alcune ore prima, è andata a prenderlo a casa. Ha confessato alla mamma, l’idraulico 55enne. Ma per chiudere la porta della cella e buttare via la chiave serve una confessione piena e un verbale fatto come codice comanda. E Paolo Canessa sa come si fa. Da lunedì, da quando Andreea Cristina Zamfir è stata ritrovata legata a quella sbarra come un Cristo dolente, non si dorme e non si mangia. Testa bassa e lavorare. E in quella stanza, ora, ci sono tutti. C’è il capo della mobile Bucossi, accanto a lui il capo della squadra omicidi Ausenda, l’ispettore Toma che registra l’interrogatorio, e c’è anche il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri, il maggiore Rosciano. Tutti attorno a Canessa che, all’ultimo giro di giostra a Firenze prima di andare a guidare la procura di Pistoia (e non saranno pochi, qui, a sentirne la mancanza), vuole chiudere il cerchio attorno a Viti e finire in bellezza i suoi oltre trent’anni alla procura di Firenze. E ci riesce. Perché quel verbale d’interrogatorio, che dura due ore, è un capolavoro giuridico e investigativo che blinda ogni possibile via d’uscita difensiva a Viti, compreso il probabile tentativo di rincorrere una incapacità di intendere e volere che, a questo punto, appare difficilmente sostenibile. Anzi, il fascicolo è talmente blindato (e ieri sono anche arrivate a Canessa le carte di altri cinque episodi di violenze) che non è escluso una richiesta della procura di procedere con il rito immediato.
ED ECCO il verbale dell’orrore. «Dopo che la ragazza ha cominciato a urlare mi sono fatto prendere dal panico e non ho pensato ad estrarre il legno che le avevo spinto dentro con veemenza. Ho avvertito subito che avevo commesso qualcosa di grave. La cosa è andata oltre ciò che io volevo fare. Non era mia intenzione di uccidere la ragazza, ma in quel momento ero nel panico. Ho pensato alla mia famiglia e ho preferito scegliere di tenermi dentro il rimorso ma di tornare a casa. Mi dispiace. Non sono partito da casa con l’intenzione di uccidere». Frase agghiacciante: «Mi rendo conto di aver fatto una grossa sciocchezza». Sì, una sciocchezza.

MA COME nasce il maniaco di Ugnano? Da dove arriva? Dalla banalità del male, così come la racconta lui stesso: «Ho cominciato anni fa a frequentare prostitute. Ci andavo perché io con le donne non sono mai stato fortunato e sono sempre stato rifiutato. Ci andavo per avere attimi di piacere. Leggevo giornalini e ho cominciato ad avere la fantasia erotica del sadomasochismo che consisteva nel legare le donne, sculacciarle e stringere loro i capezzoli. Provavo piacere nel praticare l’attività sadomaso. Leggendo giornalini e vedendo film della stessa natura, ho pensato di fare lo stesso e mi sono organizzato con nastri e corde per legare le prostitute».
Così iniziava il giro: «Partivo da casa con l’idea di fare attività sadomaso con le prostitute. Ho cominciato nel 2000 circa e all’epoca spendevo anche 150 euro. Ultimamente cercavo prostitute che chiedevano cifre più ragionevoli, più o meno 30-50 euro, in quanto sono diventato disoccupato». Poi, «avevo paura di essere ricattato e per questo cercavo sempre appositamente prostitute diverse: uscivo di casa dopo che mia moglie si addormentava, almeno due volte a settimana. A volte quando mi piaceva una prostituta facevo solo sesso. Ad altre chiedevo un rapporto sadomaso».
 

E L’ORRORE cresceva sempre negli stessi luoghi, Ugnano e Calenzano, conosciuti e utilizzati perché «mi consentivano di agire con tranquillità senza essere visto da nessuno mentre legavo le donne e facevo quello che volevo fare». E cioè: «Rendevo edotte le ragazze che non essendo io dotatissimo dal punto di vista sessuale, le avrei penetrate con un bastone. La penetrazione fatta in questo modo mi dava piacere. Se la prostituita manifestava disappunto o strillava, la lasciavo lì legata e nuda e scappavo per la paura. In una circostanza ho apposto del nastro adesivo anche sulla bocca di una prostituta perché strillava e avevo paura che qualcuno ci sentisse».
Il racconto arriva ad Andreea: «La scorsa domenica, di sera, sono partito da casa anche se non avevo in animo di fare alcunché. Nel girovagare mi sono trovato alle Cascine e lì ho incontrato una prostituta. La prima che mi è capitata. Ho spiegato a lei cosa volevo fare. Lei ha acconsentito e abbiamo pattuito la somma di 30 euro. Quando siamo arrivati a Ugnano, dopo averla legata, ho cominciato a sculacciare la ragazza e quindi sono passato a infilarle dentro il bastone. Quando ho sentito la ragazza urlare, dopo che ho spinto con veemenza il bastone e lei ha cominciato a strillare, sono scappato per la paura e le ho lasciato il bastone dentro. L’operazione è durata una decina di minuti».
LA FUGA dimostra l’assoluta lucidità di Viti al momento del fatto: «Sono scappato perché mi sono subito reso conto che l’atto espletato quella sera era andato troppo oltre. Ho perso il controllo di me stesso e sono scappato pensando alla mia famiglia. Probabilmente per salvarla bastava che, quando mi sono accorto che ero andato oltre, le avessi tolto il bastone che le avevo introdotto. Se tornassi indietro probabilmente avrei aiutato la ragazza e non l’avrei lasciata morire».
Ore 11.39, il verbale e il caso sono chiusi.