Francesco Marinari

Twitter: @framar1977

Firenze, 25 aprile 2014 - Le Terme di Montecatini come momento di relax dal fronte. E Stars and Stripes, la storica rivista americana, usata non solo come strumento di lettura ma anche come carta igienica, nelle lunghe giornate dentro le buche scavate sui campi di battaglia toscani della Seconda Guerra Mondiale. Un incredibile affresco della memoria. Una commovente testimonianza online dell'Esercito americano negli anni di battaglia. La testimonianza di chi andò a migliaia di chilometri da casa per combattere e morire per popoli di cui non aveva mai sentito parlare. Furono come angeli alle nostre spalle, potremmo dire. Citazione non casuale di "Salvate il Soldato Ryan", uno dei film sulla Seconda Guerra Mondiale che più ha fatto discutere. 

Da quando il Congresso americano ha creato nel 2000 il Veteran History Project, il concetto di “ripassare la storia” è cambiato, per gli studenti così come per tutti i cittadini del mondo. E’ così che La Nazione online rende omaggio al 25 aprile, alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Raccontando le storie di quei soldati che da New York alla Pennsilvanya, dalla California al Kentucky lasciarono le loro famiglie, salirono su una nave e vennero a liberare noi dalla follia dittatoriale. Loro, perfetti sconosciuti dell’Esercito americano. Ragazzi di vent’anni che neanche sapevano dove sarebbero andati a combattere. Che non dovevano proteggere il loro Paese, ma quello di altri. Per questo il loro sacrificio fu quanto di più nobile la Storia ci ha consegnato.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, migliaia di soldati tornarono negli Usa con negli occhi il ricordo della nostra regione, della Toscana. Con il ricordo dei paesaggi, delle famiglie di contadini delle nostre campagne che li aiutarono, dei tanti nomi di paesi in cui combatterono casa per casa. Da Livorno a Firenze, da Pisa a Grosseto: tanti luoghi e aneddoti vengono citati nelle migliaia di pagine internet del Veteran History Project (l’indirizzo è http://www.loc.gov/vets/).

Fotografie, video delle interviste, che in quasi tutti i casi sono state sbobinate anche per scritto. Tanti film hanno raccontato quei ragazzi. Alcuni (“Miracolo a Sant’Anna”, per esempio) ambientati proprio in Toscana. Ma i racconti diretti di chi visse con la paura, con il freddo dell’inverno e l’arsura delle nostre campagne d’estate sono forse la testimonianza più grande di cosa accadde in terra toscana tra il 1940 e il 1945.

Frank, il meccanico di auto che finì al fronte a Livorno

“I was drafted”: Frank J Bielatowicz, classe 1922, lo dice quasi con fatalità: “Sono andato in guerra come soldato di leva”. Fu intervistato per il Veteran History Project nel 2009 dalla figlia. Nato a Chicago. Fu congedato come sergente. Da civile, prima della guerra, lavorava alla Chicago Autoparts, azienda di ricambi d’auto, come meccanico. Il campo d’addestramento prima della partenza per l'Italia fu in Florida. Frank avrebbe voluto lavorare come meccanico per i mezzi militari una volta arrivato nell’Esercito, visto che questa era la sua occupazione anche da civile. “Mi dissero che avrei potuto fare questo in guerra. Ma non accadde”.

Frank, da Chicaco, meccanico, sbarca al porto di Livorno per combattere in Toscana. 85esima divisione, 338esimo reggimento. “Arrivai al porto di Livorno ed era tutto distrutto. Al posto dei palazzi c’erano montagne di macerie. Vedemmo, in dei recinti, molti prigionieri di guerra. Chiedevano di tutto, sigarette, qualsiasi cosa, ma noi non avevamo niente. L’inizio fu terribile”. Frank combatté, perse un caro amico proprio la prima notte di battaglia. Giorni duri. Poi prese l'ittero. “Fui mandato a Montecatini, alle Terme, per un periodo. E fu il periodo più bello, giorni di bagni caldi. Migliorai e mi ripresero al fronte”. A quel punto, la sua richiesta di diventare un meccanico fu esaudita.

“Nei momenti in cui non eravamo al fronte prendevamo un autobus e ci facevamo portare nella città più vicina possibile. Scoprii così Pisa insieme ai miei commilitoni. Vidi che era circondata da mura. Entrammo da una delle porte e andammo in giro. C’era poca gente per le strade, ma capitava di incontrare dei ragazzi con cui avevi combattuto fianco a fianco nelle settimane precedenti. Stavamo con loro ma non c’era molto altro da fare nei momenti liberi”.

Ma i ricordi dei momenti più duri non se ne vanno. I momenti liberi e quelli da meccanico militare furono migliori del periodo passato nelle buche al fronte, sull'Appennino. “Non avevamo tende o altro per riposare. Scavavi una buca e stavi lì dentro, era la tua casa. Avevamo delle granate con noi. Erano per la notte. Ogni minimo movimento intorno a noi che non veniva segnalato come movimento di qualche nostro soldato ci obbligava a lanciare granate”.

Ma c’è la luce oltre il buio: “Ricordo l’ultimo giorno di servizio in Italia, il 25 aprile 1946. Eravamo tutti nervosi. Sapevamo che di lì a poco saremmo partiti ma non sapevamo quando. E quello che volevamo era solamente tornare a casa dopo tante atrocità viste, quindi stavamo sulle spine. Il nostro comandante arrivò alla fine con la buona notizia. Saremmo partiti in nave per gli Usa, ma le mine di cui erano disseminate le acque italiane erano un' incognita. La guerra finita, ma saremmo potuti comunque affondare. Riuscimmo a partire e niente, fortunatamente, ci accadde. Sbarcammo settimane dopo a New York. Ci dettero caffè caldo e ciambelle. Era finita. Da New York, tornai a Chicago, dove ritrovai il posto che il mio datore di lavoro mi aveva conservato, alla Chicago Autoparts. Avevano sette negozi di ricambi di auto all’epoca a Chicago. Non ho più visto nessuno dei miei commilitoni. Molti erano della California, o di New York”.

Harold, che dopo la guerra giocò a football americano a Firenze

“Non sei affamato quando qualcuno ti spara addosso o quando tu devi sparare a qualcuno”: Harold Conan Hammil spiega così il rapporto con il cibo durante la guerra. Harold provò a entrare come volontario nell’aeronautica, non riuscendoci. A diciannove anni, Harold, nativo di Fairfield, Illinois, entra nell’esercito degli Stati Uniti in qualità di soldato di leva. “Ero contento di diventare soldato, ma certo la mia famiglia non fu altrettanto contenta quando partii per il fronte italiano. Prima di salire sul bus, mio papà mi disse “Harold, preferivo partire io al tuo posto”. Mio padre si ferì nella prima guerra mondiale. Un cavallo gli salì su una gamba, che si ruppe senza riprendere mai la sua vera funzionalità”.

“Il viaggio in nave verso l’Europa fu su una nave in cui eravamo in circa quattromila. Non era di certo la Queen Mary, era una nave commerciale requisita per questo tipo di operazioni. Il rischio che si correva era altissimo. Ognuno aveva la sua cuccetta, una sull’altra, anche a file di cinque o sei. Se una sezione della nave fosse stata colpita da un missile di un sommergibile, l’ordine era quello di chiudere le porte stagne della sezione stessa, condannando a morte certa gli sfortunati che dormivano in quella sezione. Fortunatamente, non fummo colpiti. Ma non potevamo gettare rifiuti dalla nave se non di notte. L’idea era che la scia di pesci e delfini che ci avrebbe seguito, avrebbe potuto portare i nemici sulle nostre tracce”.

Non sei umano quando sei in guerra, diventi un topo, un opossum, comunque un animale quando devi stare nella tua buca. Nessuno nasce come assassino. Ero e sono un cristiano e pregavo durante il combattimento. Ma so che gli uomini che ho ucciso pregavano anche loro come me. Mai, comunque, abbiamo sparato a un tedesco se non dovevamo veramente farlo. Ma non hai fame per tutto il giorno quando uccidi un altro uomo, e non hai fame neanche nei giorni successivi”.

Anche per Harold, il buio dopo la luce è la fine della guerra. E un periodo da reduce passato a Firenze, subito dopo la fine del conflitto. “Ho visto le principali città d’Italia ma in nessun posto sono stato bene come a Firenze. Alla fine della guerra, si andava a casa col sistema dei punti. Chi aveva moglie e figli tornava prima, io no. Rimasi a Firenze e, da militare, frequentai i corsi all’università di Firenze. Studiai letteratura inglese, psichiatria e giocai a football (americano, ndr). Giocammo molto a football a Firenze. Giocai nella squadra della quinta armata. E avevamo dei gran giocatori. Solo un paio di noi in quella squadra non avevano giocato a football professionistico prima della guerra. Avevamo ragazzi dei Chicago Cardinals e dei Pittsburgh Steelers (tuttora squadre professionistiche Usa, ndr)”.

Lewis, combattendo, vide dal vivo la Torre di Pisa che pochi mesi prima aveva studiato sui libri

“Ci accampammo alla Torre di Pisa. Ricordai allora che avevo studiato quella Torre sui libri di storia al liceo”. Decima divisione di montagna, ottantacinquesimo reggimento di fanteria: Lewis Gardner Bondurant, ragazzone del Kentucky, entrò come volontario nell’Esercito, conscio che avrebbe dovuto combattere a ottomila chilometri da casa contro il nazifascismo. Arrivò in nave a Napoli, come migliaia e migliaia di altri soldati. Poi su, verso nord con il camion. Prima a Livorno, poi a Pisa, dove scoprì dal vivo la Torre che aveva studiato al college. “Mi ricordavo dell’immagine ma non potevo credere di trovarmi davanti alla Torre. Mi stupiva la sua grandezza. Eravamo accampati alla base della Torre ma non avevamo il permesso di entrare dentro.

La divisione di Lewis era una divisione scelta, addestrata per combattere in condizioni estreme. Gli Appennini e la linea Gotica erano gli obbiettivi della divisione accampata sotto la Torre di Pisa. Quando fu il momento la divisione partì per le montagne.

Lewis racconta i combattimenti della sua divisione nel febbraio del ’44. Giorni interi su e giù per gli Appennini, tra prima linea e retrovie. Parla della montagna pistoiese, di Campo Tizzoro e Maresca. Qui erano state istituite appunto le retrovie, dove la prima linea poteva riposarsi, mettere vestiti asciutti, mangiare. Poi, il racconto del soldato torna sulle battaglie. Sui morti e i feriti. Su come un cecchino abbia provato a ucciderlo in un momento in cui era fuori dalla sua buca. Sul ritorno, di nuovo, nelle retrovie, dopo la metà di marzo, a Montecatini.

Montecatini è una città termale con molti hotel. Siamo arrivati in camion. Siamo andati alle docce del quartier generale. Poi ci hanno assegnato le camere in hotel. Ci ubriacammo. Dopo un paio di giorni tornammo in camion al fronte. Gli autisti erano brasiliani. Concludemmo che era più sicuro stare in prima linea che andarci con camion guidati da autisti brasiliani”. Lewis, salirà poi fino alla pianura padana con la sua divisione. Il giorno della fine della guerra lo passerà sul Lago di Como, “uno dei posti più belli sulla terra”.