Firenze, 16 aprile 2014 - «NON CI FA paura il domani, siamo determinati ad andare avanti per arrivare a capire quali sono state le cause che hanno fatto morire Ricky mentre si trovava nelle mani delle persone che lo avrebbero dovuto aiutare». Il babbo Guido, la mamma Clementina, il fratello Andrea: la famiglia Magherini è tutta nel salone della loro villa sulla collina di Bellosguardo. Manca lui, Riccardo, 40 anni, morto un mese e mezzo fa mentre i carabinieri lo ammanettavano in borgo San Frediano.

Una morte molto dubbia, come dimostra l’inchiesta in corso: più di 70 persone ascoltate dalla procura, foto e filmati scioccanti agli atti, testimoni che parlano di calci in risposta ad altri che invece dicono di non aver ravvisato nulla di strano. Ma la morte dell’ex promessa della Fiorentina è ormai un caso nazionale, grazie anche agli amici che hanno fatto di tutto per tenere alta l’attenzione: striscioni in curva Fiesole, un murales in un ristorante in San Frediano e presto pure un’associazione per permettere di fare sport ai bambini meno abbienti.

I Magherini, lunedì, sono stati a Ferrara. Hanno incontrato Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, morto nel 2005, a 18 anni, durante un intervento di quattro poliziotti condannati in via definitiva per omicidio colposo.

«Ci ha dato forza parlare con questa donna, vedere una mamma così combattiva — dice Andrea —. Ci ha anche raccontato del suo calvario, delle illazioni per distruggere la figura di suo figlio, di come è stato difficile arrivare alla verità e alla condanna di quei poliziotti»
-Una storia simile a quella di Riccardo?
«Siamo fiduciosi nell’indagine, ma ad oggi è palese che Riccardo nelle fasi dell’arresto abbia subito violenza. Anche noi siamo in attesa degli esami tossicologici e degli esami istologici: sono delle prove scientifiche da cui capiremo com’è morto mio fratello».
-Cosa avete capito, di quella notte?
«Riccardo aveva soltanto bisogno di aiuto. Lo testimoniano le telefonate al 113 giunte poco dopo l’una di notte, prima che intervenissero i carabinieri. Dicono che c’è una persona che gridava ‘aiuto, aiuto’».
-Anche nel video, si sente chiedere aiuto.
«Se n’è andato dicendo sono una brava persona, ho un bambino di due anni. Se n’è andato pensando a suo figlio. Abbiamo trovato inopportuno che quei quattro militari dopo che Riccardo è morto siano andati pure a farsi refertare: ferite giudicate guaribili in 2, 7, 8 e 10 giorni».
-Com’era Riccardo?
«Aveva la capacità di entrare in sintonia con le persone in due minuti. Per questo aveva tanti amici, di tutte le estrazioni. Il rammarico è che quella notte non ha trovato nessuno in grado di capire che avesse realmente bisogno. Ci ha lasciato un vuoto incolmabile: lui era uno che lo sentivi anche quando non c’era».
stefano brogioni