Firenze, 24 marzo  2014 - LA CONVINSERO a interrompere i rapporti con il fidanzato, dal quale, giovanissima, aspettava un bambino. Le strapparono la creatura appena nata, per farla accudire a turno alle altre donne mentre lei tornava a lavorare al caseificio. Le trovarono anche un nuovo padre, per quel figlio oggi 17enne, tramite una pratica di riconoscimento ancora oggi molto dubbia. Emergono le prime perplessità sull’operato, in passato, del tribunale dei minorenni durante la deposizione di D.G., 33 anni, ex ospite del Forteto, testimone dell’accusa al processo (per violenze e maltrattamenti) a carico del fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, e gli altri 22 “fedelissimi”. Non sono abusi sessuali, ma laceranti torture psicologiche e molte percosse quelle che D.G. racconta ripercorrendo gli anni passati nella comunità.
 

ADOTTATA da una famiglia livornese, e violentata dal nonno, intorno ai quindici anni confessa quanto patito e viene indirizzata dagli assistenti sociali nella struttura mugellana. E’ il 1996. La ragazza è già incinta: il tribunale dei minori, nella figura del giudice Casciano, accorda che il padre del bimbo che porta in grembo possa andarla a trovare ogni lunedì. «Ma Rodolfo non era d’accordo». Nel frattempo, «l’ingranaggio» del Forteto la risucchia: instaura una relazione «avallata dal gruppo» con un’altra ragazza, Fiesoli e le “donne” la convincono che con il fidanzato è «una cosa sbagliata». I pochi incontri con lui vengono sempre “sorvegliati” fino a quando, a causa di uno sciopero dei treni, il fidanzato arriva all’appuntamento in Mugello in ritardo. «Angela Bocchino mi diceva che lui mi aveva abbandonata. Così, quando me lo ritrovai davanti, lo aggredii». Il giovane rimedia calci anche dalla Bocchino e se ne va, senza consegnarle l’anello che, scoprirà anni dopo D.G., le aveva portato per chiederle di sposarlo. E’ l’ultima volta che vede il padre di suo figlio. Scoprirà anni più tardi, che i familiari del fidanzato si erano offerti di ospitarla a casa loro. «Ma questo a me non è mai stato detto — riferisce la testimone — a chi mi cercava veniva detto che non volevo parlarci». Sperando che il fidanzato ricomparisse, la donna partorì a Careggi «con le bodyguard» del Forteto: due giorni in ospedale poi viene riportata a casa, mentre il neonato resta in incubatrice. «Volevo stare con mio figlio, ma Angela non mi permise di allattare e non lo cambiavo neppure. Mi dicevano ’tu non sei in grado di tenerlo’. Due giorni dopo il parto ero di nuovo al caseificio a lavorare». Il profeta Fiesoli decise poi che il bambino dovesse avere un padre. Fu “scelto” Marco, suo figlio: il tribunale dei minori che poco tempo prima aveva autorizzato le visite del padre naturale “riconosce” questa ’nuova’ paternità.

UNA CLAMOROSA incongruenza. Oggi, presso quello stesso tribunale, è in corso la pratica di disconoscimento. D.G. ricorda anche le “scenette” in occasione delle visite di giudici o assistenti sociali. «Sistemavamo tutto come se fossimo una famiglia. Rodolfo ci chiedeva di farlo per il bene del Forteto. Noi la chiamavamo la marchetta». Non fu tenuto conto del bene del bambino quando inavvertitamente si rovesciò un thermos di caffè bollente addosso. «Volevo portarlo all’ospedale, nessuno mi ci accompagnò dicendomi che ero ’di fuori’. La scottatura venne medicata con un olio. Solo la mattina dopo Marco mi ci portò. Erano ustioni di secondo e terzo grado. I medici mi chiesero come mai non ce l’avevo portato prima».
stefano brogioni