di GIGI PAOLI
 

Firenze, 18 settembre 2013 - «TU PRENDI e fai un verbale per fare una cosa su cosa? Sul più anomalo fra tutti i lavori che stanno sulla piazza, cioè Firenze? Ma di che cazzo stiamo parlando? E’ un lavoro anomalo all’ennesima potenza e noi dobbiamo essere formali? Ma se siamo formali qualcuno ce lo caccia in.... e ha ragione. Perché avremo sempre mille cose da farci in qualche modo perdonare o comunque stigmatizzare...». Era un lavoro «anomalo», dunque, il cantiere fiorentino dell’Alta velocità ferroviaria. Era uno dei dirigenti di Rfi indagati dalla procura di Firenze a esplicitarlo in una delle tante conversazioni intercettate dal Ros dei carabinieri e che ora sono fra gli atti depositati dell’inchiesta. «Anomalo» in effetti vuol dire tante cose, ma in un altro frammento di conversazione il concetto sembra chiarirsi: «Il primo problema è che qui a Firenze sarà messo sotto lente di ingrandimento. Perché? Perché ci sono delle spese e ci saranno delle spese ingiustificate o comunque che appaiono ingiustificate».

 


LE ANOMALIE? Le spese ingiustificate? Molte, a quanto si legge nelle carte. Ma una delle vicende più incredibili dell’intera storia infinita dei lavori del nodo Tav di Firenze riguarda l’ormai celeberrima «Monna Lisa», l’enorme fresa che avrebbe dovuto scavare il tunnel sotto la città. Avrebbe, già, perché — secondo l’accusa — quel mastodontico macchinario non avrebbe mai potuto funzionare perché sarebbe stata a sua volta costruita con materiale in parte non originale e inadeguato all’intervento. Cosa che, in aggiunta alla scoperta dell’uso di materiali scadenti per i rivestimenti interni dei tunnel da scavere, ha determinato uno stato degli atti pericolosissimo causato anche e soprattutto, accusano i pm Giulio Monferini e Gianni Tei, da «una gestione dell’appalto da parte di soggetti del tutto inadeguati dal punto di vista finanziario e organizzativo».

 


E DALLE CARTE si scopre ancora che Seli, la società incaricata di montare la ‘talpa’, «non solo aveva problemi finanziari per l’acquisto di pezzi originali (segnatamente le guarnizioni interne) ma che aveva trovato un rifiuto da parte della proprietà americana della società produttrice della macchina nel dare seguito agli ordinativi, in quanto sarebbe risultato violato da parte di Seli Spa l’embargo imposto dagli americani alle forniture verso l’Iran (dove Seli ha svariate commesse, ndr)». Insomma, la disastrata Seli trafficava a Teheran ma non aveva un soldo in cassa per far lavorare la Monna Lisa a Firenze. Emblematico quel che dice un dipendente della Seli al suo capo Aristodemo Busillo, ora agli arresti domiciliari: «Non è che mi posso arrampicare più di tanto sui vetri. A un certo punto i nodi vengono al pettine, noi il 15 giugno ci abbiamo contrattualmente una consegna, che è quella della macchina pronta per scavare. Possiamo prenderci altri 15, 20 giorni, ma di più non riusciamo a giustificare». Monna Lisa non sarà mai avviata.