di Am. Ag.

 

Firenze, 15 luglio 2013- E’ scesa per andare a comprare le sigarette. Tranquilla, serena come può essere una studentessa universitaria fuori sede di 21 anni che studia per preparare un esame. Gli auricolari ben piazzati e la musica sparata nelle orecchie le impediscono di aver la percezione di un pericolo che comunque non avrebbe mai immaginato. Una strada, a Novoli, molto trafficata, l’orario, le 21,30 circa che non fa sospettare un agguato. Invece tutto succede in un paio di lunghissimi minuti. Quelli che le cambieranno la vita. "All’improvviso mi sento sospingere da dietro contro il muro di uno dei palazzi della strada. Lì per lì ho pensato al terremoto". Invece sente il fiato di un uomo sul collo, il suo alito che puzzava forte di vino. Un odore acre e pungente. Lui è giovane, è forte. Con una mano le tappa la bocca mentre con il corpo la spinge sempre più contro il muro e tenta di infilare l’altra mano dentro i jeans. La fa da padrone: tocca e palpeggia quello che vuole. Ma la ragazza, pure ammutolita dalla paura, gli morde la mano. Con rabbia, con il coraggio della disperazione. Lui imprecando molla la presa e lei nota che su quella mano c’è del sangue. E’ di carnagione chiara l’aggressore, stando ai ricordi della ragazza potrebbe essere un giovane dell’Est, alto circa 1,70, barba incolta e con un cappellino da baseball in testa. Il dolore lo fa arrabbiare, rompe il collo di una bottiglia che la vittima non sa dire se aveva con sé e se l’ha raccolta da terra e le vibra un colpo al ventre. La ferisce nella zona dell’appendice, ma non si accontenta, cerca di tornare all’assalto. "E mi afferra di nuovo. Io tento di divincolarmi". Fino a quando da una macchina che passa lì in strada a pochi metri qualcuno sembra interessarsi al fatto e lui decide che è tempo di scappare. E si volatilizza.


Gli occhi grandi di paura la ragazza racconta. "C’era gente, sono passati in tanti anche in macchina e a quell’ora ci sono persone anche ai balconi, ma nessuno si è mosso. Nessuno ha fatto nulla, ha chiesto aiuto, è intervenuto in mia difesa. Perché?". Certo che se lo domanda e qualcuno dovrebbe risponderle. Per la verità però le sue domande non finiscono qui.
 

"Sono rimasta per qualche secondo inebetita, bloccata al muro, subito dopo ho realizzato cosa mi era successo e sono corsa subito a casa tenendo la mano stretta all’addome visto che perdevo qualche goccia di sangue dal basso ventre". Una volta al sicuro la sua amica chiama il 118 e pochi minuti dopo arriva la squadra di volontari che l’accompagna in ospedale a Santa Maria Nuova. La dottoressa del dea scrive nel referto che "la paziente è molto scossa dall’evento, piangente. Ha ferite da graffio ed escoriazioni in emiaddome destro". Il referto di dimissione parla di "reazione da stress dopo aggresione a sfondo sessuale".


Ma la polizia, i carabinieri perché non arrivano? Pensa lei. Perché nessuno si butta a cercare questo mostro che è ancora in zona con la mano sanguinante? La dottoressa scrive nel referto che il 118 ha già provveduto ad avvertire le autorità. I carabinieri invece apprendono la cosa solo due giorni dopo, quando la ragazza si presenta in caserma e formalizza la denuncia a Borgognissanti. La polizia non sa nulla. Chi ha avvertito chi? E soprattutto chi doveva avvertire chi? Si chiede la ragazza mentre fa le valigie per tornare a casa con la madre che è arrivata di corsa per portarsela via. Perderà anche la borsa di studio: non ce l’ha fatta a dare l’esame il giorno dopo. E non ce la fa a finire di preparare quello che aveva già iniziato a guardare. Il danno e la beffa.