DI GIGI PAOLI

Firenze, 30 maggio 2013 - Il numero fa impressione non solo a leggerlo, ma anche solo a immaginarlo. Per la Direzione distrettuale antimafia di Firenze, fra il 2006 e il 2010 e principalmente tra Prato e Firenze avrebbe operato un’associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al riciclaggio verso la Cina di una somma pari a poco più di quattro miliardi e mezzo di euro. Sì, avete letto bene: miliardi di euro. Tradotto col vecchio, caro conio, sarebbero circa novemila miliardi di lire.

A tanto ammonterebbe il traffico accertato dalla Guardia di Finanza in relazione a un’associazione di 24 persone, composta da 17 cittadini cinesi, 6 italiani (5 di Bologna e un milanese) e un nigeriano. Il procuratore della Repubblica di Firenze Giuseppe Quattrocchi e il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Pietro Suchan hanno firmato un ‘mostruoso’ avviso di conclusione delle indagini che in questi giorni viene notificato in tutta Italia alla bellezza di 287 indagati, in gran parte cinesi chiamati a rispondere di riciclaggio di denaro verso la madre patria attraverso l’intermediario finanziario nazionale per il trasferimento «Money2money» e 14 agenzie di money transfer (due a Prato, due a Firenze, una a Empoli, cinque a Roma, due a Milano, una a Napoli e una a Padova).

L'avviso di fine indagini chiude svariate operazioni — condotte fra il 2010 e il 2012 dal nucleo di polizia tributaria di Firenze e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia — che avevano portato a 24 arresti e a maxi-sequestri di beni mobili e immobili, fra cui decine di imprese cinesi (principalmente nell’area di Prato, Firenze e Roma), appartamenti e negozi, oltre a centinaia di auto e conti correnti personali.

Decine di milioni di euro sono stati riciclati con la tecnica dello ‘smurfing’, cioè del frazionamento, che permetteva di inviare il denaro in Cina in più tranche da 1.999 euro, il massimo consentito dalla legge per ogni operazione.

Ecco cosa scrive la Dda di Firenze in merito al sistema con cui i promotori dell’associazione a delinquere avrebbero trasferito in Oriente quella quantità enorme di denaro: «Facendo uso di forme e modalità di occultamento di ingenti somme di denaro raccolte presso cittadini cinesi dimoranti in Italia prevalentemente nell’area fiorentino-pratese, ma anche nelle città di Roma e Padova e altre località, e inviate nella Repubblica Popolare Cinese dissimulando frazionamenti di operatività, sotto una regia unitaria centralizzata, senza identificazione corretta dei reali mittenti, con indicazione di nominativi fittizi o prestanome, con ostacolo delle attività di controllo da parte degli organi competenti». Il denaro raccolto era, scrive sempre la Dda, «in gran parte proveniente da reati» e cioè frutto della vendita al nero di prodotti tessili, di borse anche ‘taroccate’, di oggettistica in pelle e degli introiti derivanti dalla gestione di ristoranti, bar e altre attività che, soprattutto nella Chinatown pratese, proliferano da anni creando una sorta di distretto industrial-commerciale parallelo che ha messo in ginocchio la parte sana (e regolare) del sistema economico di Prato.

Emblematici i casi, scoperti dalla Finanza, di sei imprenditori cinesi che hanno trasferito in Cina una somma complessiva di sei milioni di euro a fronte di inesistenti dichiarazioni dei redditi. E questo, forse, potrebbe rientrare in una riservatissima inchiesta che a Prato tirerebbe in ballo alcune filiali di banche magicamente generose nella concessione di mutui e prestiti a cittadini cinesi, in apparenza nullatenenti o quasi. Ma questa è un’altra storia.