Firenze, 26 maggio 2013 - PROCURATORE Quattrocchi, il 27 maggio 1993 lei era procuratore a Lucca ma abitava a Firenze. Quando venne a sapere della tragedia?
«La mattina, sul pullman della Lazzi che mi stava portando a Lucca, iniziai a capire che era accaduto qualcosa di terribile. Quando arrivai al capolinea, allora in piazza Adua, non c’era nulla e nessuno poteva immaginare che a 400 metri di lì era successo un disastro».
E all’arrivo a Lucca?
«Appena arrivai in procura chiesi di chiamare subito Firenze, ma quella mattina non furono neppure in grado di dirmi quanti morti c’erano. Mi dissero solo di quella povera bambina... Così quel giorno tornai a Firenze prima del solito, scesi dal pullman e andai subito in piazza della Signoria. Lì agli Uffizi vidi un assembramento di persone, di volti, e una polvere che l’aria non aveva ancora dissolto. Non ebbi il coraggio di andare a parlare con i miei colleghi che erano lì, mentre i vigili del fuoco stavano ancora lavorando, e andai a casa».
Sono passati vent’anni e nei giorni scorsi la sua procura ha ottenuto un altro ergastolo, quello inflitto al pescatore palermitano imputato di aver recuperato dal mare l’esplosivo delle stragi. L’inchiesta è da ritenersi conclusa o manca ancora un tassello?

«La Direzione distrettuale antimafia di Firenze ha esaurito il suo compito rispetto alle fonti informative di cui disponeva. Ma, come dico sempre, non è detto che quel che abbiamo messo a frutto sia tutto. L’attività della procura non deve mai fermarsi, sia in relazione alla gravità di quei delitti sia in relazione alla valutazione tecnica e umana in base alla quale può sempre emergere qualcosa di nuovo: per questo dico che non ci si deve fermare. Chi ci dice cosa sarebbe potuto accadere se nel giugno del 2008 Gaspare Spatuzza non avesse ritenuto di mettersi a un tavolo con i magistrati e non avesse parlato? E’ vero che con l’ergastolo a D’Amato abbiamo esaurito quello di cui disponevamo, siamo arrivati al massimo, ma altro è dire che qualcosa può accadere sempre. E se può accadere, io non mi fermo».
Non vi fermate ma a giugno scade l’applicazione dei pm Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi, ora alla procura generale, su questo caso. Quindi si chiude?
«Premetto intanto che tutto questo lavoro e quel che è seguito dalle parole di Spatuzza va ascritto alle capacità professionali, alla bravura e alla testardaggine di Crini e Nicolosi che insieme a me, o io insieme a loro, si sono occupati di questa cosa. Loro due sono la memoria storica. Ma chi dice che abbiano finito? Potrebbero essere applicati a un’altra cosa...».
Un’altra conversione scome quella di Spatuzza nel 2008?
«Se allora venne lui, chi ci dice che qualcun altro non voglia un domani parlare? Spatuzza comunque ci ha detto tutto, non credo ci sia altro da aspettarsi da lui».
Dunque, gli esecutori li avete praticamente trovati tutti, ma sui mandanti è rimasto un sipario di nebbia..
«Mandanti, esecutori... Non fatemi domande su questo, anche perché è tutto scritto nel codice: io ho il dovere di cercare tutti coloro che hanno concorso in quel reato, al di là del ruolo avuto. Speranze di andare avanti nella ricerca dei mandanti? Con il nostro patrimonio conoscitivo, sui cosidetti mandanti, ispiratori o agevolatori siamo fermi. Abbiamo avuto la possibilità di esplorare questo territorio, ma noi dobbiamo fare i conti con le prove e non con le ipotesi».
Ma il dubbio che non sia stata solo Cosa Nostra è rimasto nell’aria, non è così?
«Se si usa la categoria del dubbio, si può benissimo alimentarlo ma noi non possiamo concludere con i dubbi. Su questa ipotesi, che ci sembrava più di un dubbio, abbiamo lavorato nella ricerca di prove o indizi gravi, precisi e concordanti, ma senza i contributi che altre persone ‘informate’ avrebbero potuto dare ci siamo dovuti necessariamente fermare».
A cosa si riferisce?
«Mi riferisco a tante cose, finanche all’istruttoria dibattimentale di Gabriele Chelazzi che per primo introdusse l’argomento del contatto fra la struttura mafiosa ed elementi aderenti alle istituzioni. All’epoca interrogammo tutti ed esplorammo tutti gli ambienti non di natura necessariamente mafiosa, alla ricerca di contatti o cointeressenze che passassero sul terreno della politica. Ma si ricorda dell’omicidio di Salvo Lima? Nel momento in cui viene lasciata a terra una persona che doveva ‘garantire’ il maxi-processo non è già quello un legame diretto e immediato? L’omicidio di Lima non è già quello il segnale della mafia che si avvale della politica per il perseguimento dei propri interessi? La storia e le vicende giudiziarie hanno poi chiarito che questa commistione c’è stata, è stata perseguita».
Tornando ai Georgofili, nelle ore successive all’attentato ebbe l’impressione immediata che potesse davvero entrarci la mafia?
«Ebbi quel pensiero, sì, ma ebbi anche il peccato di non metterlo in connessione con l’attentato di via Fauro a Maurizio Costanzo. Io l’avevo vista in televisione quella famosa trasmissione in cui bruciò la maglietta con scritto ‘La mafia fa schifo’, ma non pensavo allora che la mafia volesse uccidere altre persone che non fossero i nemici istituzionali...».
Da fiorentino, procuratore, quanto pensa che la città sia stata cambiata dalla strage dei Georgofili?
«Molto. Firenze non si è resa conto, e credo non si renda tuttora conto, del perché ha dovuto pagare in quei termini la strategia mafiosa. Ma quel che oggi mi preoccupa è che il mantenimento della memoria di quei fatti sia un’operazione che debba essere continuamente alimentata. Il 70 per cento degli studenti toscani e il 67 di quelli fiorentini non sanno cosa sia stata la strage dei Georgofili. Di questo non mi sento di fare un rilievo ai ragazzi, ma mi preoccupa e mi allarma che gli adulti, genitori o insegnanti, non gliel’abbiano raccontata. Spiegare quella tragedia significa spiegare anche lo spaccato di un pezzo di storia di questo Paese. Il mantenimento di una memoria consapevole e non rituale è importante, perché induce a non disimpegnarsi e alla conservazione di un principio di civiltà, che è quello di espellere dal nostro sistema sociale fatti, persone e comportamenti che portarono a quella tragedia».