di Mario Del Gamba

Firenze, 28 marzo 2013 - Torna  clamorosamente d’attualità il massacro di Ponticelli, l’orribile assassinio di due bambine napoletane violentate, uccise e poi bruciate la notte del 2 luglio1983 e di cui furono accusati e condannati all’ergastolo tre giovani del paese. A trent’anni di distanza il caso si riapre dopo che nuove prove raccolte nell’ambito di indagini difensive dimostrerebbero l’innocenza dei tre accusati, Giuseppe La Rocca, Ciro Imperatore e Luigi Schiavo lasciati in carcere senza colpe per ben 27 anni.
«Siamo di fronte ad uno dei più eclatanti errori giudiziari che annoveri la letteratura giuridico giudiziaria italiana e che si è perpetuato drammaticamente per tanti anni», commenta l’avvocato Eraldo Stefani, artefice della svolta impressa alla vicenda e che è sfociata nella riapertura del caso. Nei giorni scorsi, infatti, la corte d’appello di Roma ha accolto la richiesta di revisione del processo presentata dal collegio difensivo comprendente gli avvocati Eraldo Stefani, Ferdinando Imposimato e Francesco Stefani. In un minuzioso e complesso iter investigativo, una autentica controinchiesta, i difensori sono riusciti a raccogliere nuove e inedite prove testimoniali che, sommate a sofisticati accertamenti scientifici, portano a scagionare La Rocca, Imperatore e Schiavo. Infatti il nuovo materiale ha portato a spostare l’orario del raccapricciante duplice omicidio: non più le 20,30 di quella tragica sera, ma intorno alle 24. Questa circostanza fa sì che almeno una decina di testimonianze portano a dimostrare, in modo incontrovertibile, che i tre accusati si trovavano ben lontani dal luogo del delitto.

A questa nuova collocazione dell’ora fatidica in cui si è consumato lo scempio delle due bambine, Barbara Sellini di sette anni e Nunzia Munizzi di dieci, ha portato, fra l’altro, anche un test tecnico-scientifico (la tempistica dell’incendio in cui furono bruciate le due vittime) culminato nel considerare del tutto inattendibili i risultati delle prime indagini. Quelle indagini che, condotte a senso unico, portarono all’incriminazione dei tre giovani all’epoca poco più che ventenni. Sta di fatto che il massacro di Ponticelli (una borgata alle porte di Napoli) aveva suscitato raccapriccio e indignazione nell’opinione pubblica nazionale. L’inevitabile pressione che gravava sugli inquirenti avrebbe così portato a stringere i tempi, a trovare comunque i “mostri”.

La nuova lettura dell’inchiesta, condotta dal collegio difensivo Stefani-Imposimato ha portato a stabilire, addirittura, che alcuni testimoni sarebbero stati sottoposti a sevizie e maltrattamenti, fino a costringerli a firmare verbali in cui si additavano La Rocca, Imperatore e Schiavo quali autori dell’efferato omicidio pur sapendoli innocenti. Una brutta pagina scritta in una caserma dei carabinieri del napoletano, che ora verrebbe cancellata dalla nuova svolta impressa dalle indagini difensive.

Ciro Imperante,  Luigi Schiavo e Giuseppe La Rocca,dopo aver scontato ben 27 anni in vari penitenziari da innocenti, sono ora liberi, scarcerati per buona condotta, e si stanno fasticosamente ricostruendo una vita (si sono sposati e attualmente vivono in un centro dell’Umbria). Ma il passato non si cancella: la tragedia di Ponticelli continua a gravare sulle loro spalle e le loro speranze di potersi finalmente liberare di quel marchio infamante sono ora appese all’esito del processo di revisione, disposto dalla corte d’appello di Roma. Dal 16 maggio prossimo i nuovi giudici vaglieranno dunque i faldoni del ricorso di 1300 pagine in cui gli avvocati Eraldo Stefani ed il figlio Francesco, insieme all’altro penalista Ferdinando Imposimato, hanno raccolto le prove inedite che dovrano portarli a scagionare definitivamente e riabilitarli di fronte alla società riconoscendone l’innocenza.