Firenze, 5 marzo 2013 - Quando sul sommario de La Nazione ha visto campeggiare quella specie di ‘urlo’ "Trovata la pistola del Mostro", il vecchio cronista è restato qualche istante interdetto e, quasi con il cuore in gola, è corso a sfogliare febbrilmente il giornale alla ricerca della conferma che finalmente fosse stato risolto quello che gli inquirenti considerano ancora l’enigma-chiave della tragica catena di delitti: che fine ha fatto l’arma del mostro?

Poi, leggendo, si è capito che il giallo non era stato ancora risolto e che, anzi, molti dubbi continuano a pesare sul ritrovamento della pistola e soprattutto sul comportamento della magistratura di Potenza.
Che, finora, si è ben guardata sia di informare, doverosamente, la Procura di Firenze che di cercare di chiarire il mistero sottoponendo l’arma alla prova da sparo (la sola che, con la comparazione balistica con i proiettili trovati sui luoghi dei duplici omicidi del mostro, può dare una risultanza definitiva).

Ma per il vecchio cronista quella notizia giustamente "sparata" sul sommario è servita, in pochi momenti a fargli fare un lugubre flashback, un salto indietro di una trentina di anni mentre nella mente si accavallavano i ricordi del tragico periodo degli anni Ottanta.

Quando le notti fiorentine erano costellate da incubi, nelle famiglie si vivevano giorni di ansie e tensione e nella città, ma anche nelle province limitrofe, gravava la paura dello spietato, imprendibile, maniaco omicida.
Incubi e paure vissuti in misura ben più accentuata nelle campagne del Chianti e del Mugello, in particolare, dove il mostro aveva già colpito ripetutamente infierendo orrendemente sulle sue giovani vittime. Quel drammatico periodo che raggiunse il suo acme la notte dell’8 settembre 1985 quando fu commesso l’ultimo degli otto duplici delitti con la tragica pistola calibro 22, quell’autentico massacro della giovane coppia di turisti francesi che si era accampata nella campagna nei pressi di San Casciano.

Quell’ennesmo omicidio segnò anche l’apice della tensione e della paura anche perché in quella particolare tragica circostanza il mostro osò sfidare i magistrati inquirenti inviando un frammento del seno escisso alla sventurata turista francese al sostituto procuratore Silvia Della Monica che in quel periodo conduceva l’inchiesta sulla serie di delitti.

Fu un lugubre segnale che destò vivissima impressione nell’opinione pubblica anche perchè fu accertato che la sconcertante sfida a chi gli stava dando la caccia, il mostro l’aveva messa in atto la stessa notte del duplice omicidio andando ad imbucare a San Piero a Sieve la lettera indirizzata al magistrato. E dovettero passare altri anni prima che le indagini segnassero la svolta decisiva con l’identificazione del mostro nella persona di Pietro Pacciani e dei suoi “compagni di merende” Mario Vanni e Giancarlo Lotti, soluzione sancita dalle condanne definitive all’ergastolo per Vanni e Lotti (Pacciani era morto in circostanze mai ben chiarite nelle more dei processi).

Ma su tutta la tragedia del mostro di Firenze continuano a gravare, anche a distanza di un trentennio, molti dubbi e perplessità sui ruoli dell’assassino e dei suoi complici ma anche sui mandandi mai identificati con assoluta certezza nonostante i tanti nomi di professionisti (medici in particolare) sussurrati nel tempo.

Sull’arma del mostro sono state avanzate molti ipotesi che però hanno spesso finito per convergere nelle cosidetta “pista sarda” cioè nel primo delitto della serie che come è noto risale all’agosto 1968 e di cui fu sospettato il “clan dei sardi”. Quella stessa pistola sarebbe poi stata usata negli altri sette duplici omicidi successivi. Nel corso delle indagini si ipotizzò che Pietro Pacciani quando si sentì braccato da vicino se ne sia disfatto sezionandola in tanti pezzi e gettandoli via in modo che non si potessero mai assemblare per rimontarla interamente.

La pistola ora trovata a Potenza sembra possa riaprire quella tragica pagina mai dimenticata ma lo scetticismo che traspare fra gli inquirenti fiorentini fa ritenere che l’enigma sulla sorte della tragica Beretta sia destinato a rimanere insoluto. E, tutto sommato, forse è meglio così. Per chiudere definitivamente questa orrenda pagine di storia fiorentina.

 

di Mario Del Gamba