Firenze, 31 agosto 2012 - Secca. Sovrastata dai faggi precocemente ingialliti e spogliati dalla siccità, la mitica sorgente non riesce a partorire l’Arno. E’ una culla vuota. Tanto che bisognerebbe cambiare i versi di Dante incisi sulla lapide: «Per mezza Toscana... non spazia più quel fiumicel che nasce in Falterona».

Dalla roccia esce un filino d’acqua capace di correre per dieci centrimetri prima di essere bevuto dalla terra. Giù non scende nulla: solo polvere. Allibiti Gaia Checcucci, segretario dell’Autorità di bacino, e Erasmo D’Angelis, presidente di Publiacqua, autorevoli partecipanti alla seconda spedizione sul fiume organizzata da La Nazione.

Nemmeno loro sapevano che la grande montagna, da mesi senza pioggia, ha finito per abortire il fiume. La speranza di tutti è che i temporali annunciati da oggi possano rimpinguare la falda riarsa e rianimare l’Arno.

Nel 1988, al tempo della nostra prima spedizione, lo zampillo che spaccava la roccia appariva umile e mansueto, come sempre fra agosto e settembre, ma l’acqua c’era: saltava e si divertiva a formare arabeschi col muschio e la pietra.

Assetata e precocemente avvizzita, oggi la natura è triste. E sembra già intorpidita dal sonno autunnale: felci appassite e sentieri appaiono ricoperti da spessi strati di foglie secche. Il lago degli Idoli, dove vennero ritrovate (e anche razziate) centinaia di statuine che dovevano rappresentare gli ex voto degli etruschi, è bassissimo.

Gli passiamo vicino, dopo essere scesi dalla jeep del Corpo forestale dello Stato. Grazie per la collaborazione, comandante regionale, Donato Monaco, e comandante provinciale di Arezzo, Claudio D’Amico. E grazie al pilota, l’assistente Cristina Panteri, provetta guidatrice su viottoli da capre, irti di pietre.

Perché, altrimenti, arrivare fin qui sarebbe stato faticoso. Ci sono due strade tutt’altro che facili: la prima parte da Castagno d’Andrea, s’inerpica verso la fonte del Borbotto, tocca appena la cima del Falterona e arriva a Capo d’Arno in mezzo ai faggi depressi dalla sete e ai castagni con i ricci rinsecchiti, che daranno poca farina dolce quest’inverno.

L’altra si snoda dalla Burraia, sopra al passo della Calla, raggiunge il monte Falco e si spinge fino al Falterona. Ottima per i fondisti che si allenano per i Giochi brasiliani del 2016 ma non per gente impegnata in un reportage: è lunga tredici chilometri.

Siamo a quota 1358 sul livello del mare, ma fa caldo: 28-29 gradi. E dobbiamo reprimere una voglia: quella di bere le goccioline d’Arno, appena nato, come 24 anni fa. Abbiamo tutti le labbra secche e la sensazione d’amaro in bocca. La troupe di RTV 38 è consapevole di avere in esclusiva drammatiche immagini di natura in agonia.

Erasmo D’Angelis, che da presidente di Publiacqua dovrebbe lamentarsi per la mancanza di materia prima da vendere e fatturare, fa invece parlare il cuore di vecchio ambientalista: «E’ uno scenario agghiacciante, credo sia la siccità più grave da un secolo a questa parte».

E la Checcucci conferma: «Registriamo i dati peggiori dal 1913. E sono sempre più convinta che non possiamo, nel 2012, restare appesi alla meteorologia. Il bacino dell’Arno ha bisogno d’invasi per combattere la siccità, capaci anche di regimare il fiume quando è in piena.

Ha ragione: l’Arno che non ha la forza di spaccare la roccia nel 2012, è lo stesso torrente con sfrenate ambizioni di fiume che nel 1966 fu capace di riversare su Firenze e due terzi della Toscana 4.100 metri cubi d’acqua e fango al secondo.

Del resto, anche oggi beviamo grazie alle dighe. Vediamo perché. La Penna non dà nulla: è ridotta a una pietraia, così come il letto dell’Arno a Ponte Buriano, il ponte che gli studiosi d’Arezzo giurano sia quello ritratto da Leonardo sullo sfondo della Gioconda. Lo attraversiamo dopo aver visto il Casentino, con i campi di girasole arroventati e le viti coi grappoli votati a una vendemmia molto anticipata.

L’obiettivo è Levane, la diga Enel più a valle. Che appare come un’oasi, circondata da vegetazione verdissima. Custodisce 12 milioni e mezzo di metri cubi d’acqua. Centellinati a mezzo metro cubo alla volta. La Checcucci vuol rialzare questa diga di un paio di metri, per ricavarne altra acqua da invasare e più sicurezza per chi vive giù, a Firenze e Pisa, le città vetrina attraversate dall’Arno.

E c’è acqua anche più giù. I torrenti che scendono dalla Consuma rimediano qualcosa, ma i «rinforzi» arrivano alla confluenza con la Sieve: la diga di Bilancino rilascia due metri cubi e mezzo al secondo. Morale? L’Arno può passare davanti all’idrometro della Nave a Rovezzano con 4,82 metri cubi al secondo. Pronti a essere succhiati dall’Anconella.

Quanto potremo resistere se la pioggia annunciata per oggi e per la prossima settimana fosse poca cosa, come domenica scorsa? La Checcucci si stringe nelle spalle: «In teoria potremmo arrivare al 5-10 ottobre. Ma risparmiando, credo ci si possa spingere fino a fine ottobre. Però mi auguro con tutto il cuore che dai sassi aridi l’Arno rinasca. La sorgente polverosa fa solo piangere».

Sandro Bennucci

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