Firenze, 28 agosto 2012 - «NON LO SAPEVO. Mi ha chiamato il mio editore per dirmelo. E’ un grande onore che non mi aspettavo. Essere nella rosa dei candidati al Nobel per la Letteratura va al di là della semplice soddisfazione. E’ la nomination per il riconoscimento più importante del mondo. E trovarmi in quella compagnia è una cosa straordinaria». I bookmaker inglesi hanno messo in testa ai favoriti italiani nella corsa al Nobel per la Letteratura, Dacia Maraini che piazzano 16\1. Davanti a Eco e Camilleri.
Signora Maraini, che effetto fa?
«E’ una bella cosa, un piacere anche un po’ pazzesco. Perché non dipende da me e mi ha preso di sorpresa. E’ bello perché tutti e anche io con fiducia, paura e con poesia diamo un senso alla nostra vita. L’ultima volta che il Nobel è stato assegnato a un italiano è andato a a Dario Fo. Posso dire che essere lì assieme a quei nomi è una cosa importantissima. Ma vuol dire anche che prima di me ci sono quindici persone. Il mio sogno è sempre stato questo: scrivere pagine che chi legge amerà. Tutto qui. Non ho altre ambizioni».
Secondo lei come è uscito il suo nome?
«So che il criterio usato è sulla qualità della scrittura, unito all’ impegno sociale e civile. Da sempre i miei scritti sono dalla parte dei più deboli. Ho fatto inchieste sulle carceri, ho raccontato i senza casa, i giovani emarginati. Quelli che più che hanno bisogno di qualcuno che li sostiene, come immigrati e sfruttati».
Perché i suoi libri vanno in quella direzione?
«E’ una cosa istintiva, non costruita, uno nasce così. Certamente anche la famiglia ha avuto il suo peso. Mio padre e mia madre sono state persone sempre dalla parte dei più deboli, contro il potere, contro il fascismo. Siamo stati in campo di concentramento perché non loro vollero firmare l’adesione al fascismo. E’ stato un atto di coraggio. Sicuramente questo conta».
Il nuovo libro, a proposito, racconta la violenza sulle donne.
«L’amore rubato uscirà i primi di settembre. Sono otto storie vere prese dalla cronaca di violenza contro le donne, che presenterò anche a Firenze. Sono racconti che ho messo insieme per sensibilizzare su questo tema. La violenza è in crescita in Italia, bisogna parlarne. E’ un problema culturale e non solo di polizia».
Non si risolve con le manette?
«Ovviamente non è tutto lì. E’ cambiando mentalità e modelli che possono cambiare le cose. La violenza è il risultato di una cultura profondamente misogina. Un altro tema di questo libro è che molte donne non denunciano le violenze subìte, che arrivano a giustificare. Poi, forse mi illudo, ma ho la sensazione che questo periodo di esaltazione dell’individualità e del tornaconto personale stia per tramontare. C’è una reazione dal basso che sta montando: una voglia di nuove libertà e nuove giustizie, una voglia di dire basta ai privilegi, alle astuzie, agli imbrogli, alla disonestà. Ci spero molto. Per chi è vittima di violenza soprattutto».
In partenza per Venezia, le daranno il Campiello alla carriera..
(ride)
«E’ un premio già stabilito, che mi evita stress: non ho da correre con nessuno. Certo che un premio alla carriera fa pensare che si ha tempo alle spalle. Però va bene e fa piacere».
 

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