Toscana, 12 maggio 2012 - Domenica 13 maggio Papa Benedetto XVI è per la prima volta in Toscana da pontefice per visitare la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. Alle 10, ad Arezzo, presiederà la Celebrazione eucaristica e la preghiera del Regina coeli, nella piazza del Duomo. Nel pomeriggio la visita al Santuario francescano della Verna e alla Concattedrale di Sansepolcro. «La nostra letizia è grande – ha spiegato l’arcivescovo Riccardo Fontana – perché il Santo Padre vuole celebrare con noi l’anno millenario, valorizzando l’identità spirituale della nostra comunità ecclesiale, edificata nel tempo dalla testimonianza del martire san Donato e dei santi monaci di Camaldoli, evangelizzatori della nostra terra e assidui animatori della contemplazione e dei valori dello Spirito».

«Dopo cinquecento anni – ha continuato Fontana – il Papa torna a Sansepolcro per sottolineare ancora i legami della nostra diocesi con Gerusalemme e la volontà che la città dei pellegrini Arcano ed Egidio seguiti ad essere accogliente verso chi arriva da lontano e impegnata nella ricerca della giustizia e della pace”.
Era dal settembre 1993 che un Pontefice non tornava in questa terra. In quell’anno Giovanni Paolo II visitò due volte la Diocesi: a maggio ad Arezzo e Cortona; a settembre al Santuario della Verna. L’ultima volta di un Papa in Toscana è stata, sempre con Wojtyla, nel maggio del 1996 a Colle Val d’Elsa.
Quali sono i fili che legano Benedetto XVI a questo territorio? Proviamo a ricostruire.


1. Era lunedì 27 giugno 1977 quando, in occasione del concistoro, Paolo VI nominò quattro cardinali: i due fiorentini Mario Luigi Ciappi, domenicano e teologo della Casa Pontifica, l’arcivescovo di Firenze Giovanni Benelli, quello di Monaco e Frisinga Joseph Ratzinger, Bernardin Gantin del Benin (l’unico ancora in vita oltre il neo Papa Benedetto XVI) e il ceco Frantisek Tomasek che era stato nominato in pectore già l’anno prima e che ricevette la porpora insieme ai nuovi quattro cardinali. Ad essi Paolo VI riconosce l’assoluta fedeltà nel periodo Post-conciliare “ricco di fermenti sani ma anche di elementi disgregatori”, in una continua disponibilità, in un diuturno servizio, senza flessioni, senza tentennamenti, senza transazioni. “Di questa fedeltà siamo lieti – dice Paolo VI, in un discorso dai toni spesso crepuscolari - di rendere ora pubblico attestato: anzitutto a Lei, Cardinale Benelli che ci è stato tanto vicino fin da tempi lontani, e soprattutto nei dieci anni in cui, come Sostituto della Segreteria di Stato, ha dato operosa esecuzione alla nostra volontà, senza risparmio di tempo e di energie, ininterrottamente, instancabilmente: e se tanto .ci è costato privarci della sua collaborazione, abbiamo pensato al bene che ne verrà alla Chiesa di Firenze, alla quale facciam dono delle sue doti, della sua dedizione, del suo spirito di sacrificio”. Di Ratzinger, nominato solo tre mesi prima arcivescovo di Monaco e Frisinga, Montini ricorda l’alto magistero teologico che .- si dice – fosse stato posto in luce proprio da Benelli, di fatto suggeritore di quelle nomine che lo comprendevano. A Ciappi, Paolo VI, riconosce una fedeltà che è stata sempre come una seconda natura, e ha ispirato il suo insegnamento presso l’ ‘Angelicum’, “come Decano della Facoltà di Sacra Teologia, e quindi come apprezzatissimo, umile, autorevole Padre Teologo della Casa Pontificia già con i nostri Predecessori di venerata memoria Pio XII e Giovanni XXIII, come pure in questi quattordici anni del nostro Pontificato”. Questi cardinali sono l’esempio di chi è fedele “senza lasciarsi influenzare dalle novità delle ideologie, dalla smania dell’applauso mondano, dalla ricerca del proprio tornaconto”.


2. Oggi Ratzinger è Papa Benedetto XVI. Non è facile decifrare le coordinate di un pontificato in essere, ma si possono certo definire alcune linee e mettere in luce alcune radici.
Geografia e biografia non sono trascurabili, anche per la valenza simbolica che assumono nella vita delle persone. E' interessante notare che la Chiesa della fine del secondo millennio e dell’inizio del nuovo deve molto a due persone e pastori, Woytila e Ratzinger, espressive di due popoli che l'ideologia nazionalista voleva contrapposti: nei progetti di Hitler, i polacchi erano uno dei popoli da ridurre in schiavitù per servire i tedeschi. Tra le macerie di un popolo devastato e di un popolo devastatore sono emersi due timonieri della Chiesa e testimoni di riconciliazione e, in particolare, di ricostruzione dell’Europa, sulla base di quelle radici cristiane non recepite dal Trattato che istituisce la nuova Ue ma che sono visibili nella storia. Benedetto XVI nasce il 1927 in Germania. Nell'autunno del '39 entra nel seminario vescovile di Traunstein. A sedici anni viene arruolato nella contraerea. Vive un periodo di residenza in un distaccamento secondario del campo di concentramento di Dachau e può osservare il trattamento terribile dei detenuti da parte delle Ss. Durante il Concilio viene considerato insieme a Karl Rahner, Alois Grillmeier ed altri figura guida in campo teologico. Nel 1977 diventa arcivescovo di Monaco e Frisinga. Morto il prefetto della Congregazione romana per la dottrina della fede, il cardinale croato Seper, Wojtyla lo chiama a custodire dal 1981 il "deposito della fede" come prefetto della Congregazione nota in passato come Santo Uffizio.

Ratzinger, ha sottolineato lo storico Andrea Riccardi, era insieme a Papa Wojtyla "alla ricerca di un'Europa altra". E' fuori di dubbio che l'opera di Ratzinger sia coniugata a quella del pontefice e condivide la visione di Woytila che ha elaborato fin dalla sua nomina a Papa un'organica politica europea. Se non si ha presente questa prospettiva, la nostra conoscenza di Ratzinger esce sminuita: "Giovanni Paolo II innesta motivi e passioni nuove su di una politica di lungo periodo comune ai pontificati del Novecento - osserva Riccardi - Il bisogno di Europa è, almeno dall'inizio del Novecento, un'esigenza radicata nel profondo di quell'internazionale cattolica ed europea che è la Chiesa. L'Europa è l'unica via per uscire dalla morsa dei nazionalismi e dalla logica della guerra fredda". Un grande problema della politica vaticana novecentesca "è proprio il rapporto con la nazione con i nazionalismi. Nel papato del Novecento c'è la coscienza di essere l'unica istituzione europea non nazionale e non nazionalizzata".

Dunque c’è un respiro internazionale che nel ruolo delicato di prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede, esercitato con fermezza ed equilibrio, gli attrae molte contestazioni, frutto spesso della deriva ideologica degli anni Ottanta e di quella relativizzazione della morale e dell’etica (tanto da sinistra quanto da destra) che accetta solo benedizioni ma non confronti. Per Ratzinger, ha osservato don Andrea Bellandi, che è stato Preside della Facoltà teologica dell’Italia centrale, nel libro "Fede cristiana come 'Stare e comprendere'", significa confondere la predicazione di Gesù col proposito di Barabba: ma "Gesù non era Barabba e neppure Spartaco, bensì proprio Gesù". Questo, tuttavia, non vuol dire disimpegno ma ancoraggio alla fede cristiana.
“Non è vero che sia un conservatore – ha osservato ancora Bellandi - Forse è stato visto così per il ruolo che ricopriva, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. In realtà è un uomo che ha interpretato il Concilio e ha sempre saputo leggere i cambiamenti epocali della storia”.

3. La geografia consente di esercitare un ruolo nella storia. La Toscana se lo assunse nel promuovere l’unità tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente. Manca poco al 2054, anno dello scisma, ma se si giungerà all’unità piena tra cattolici e ortodossi si dovrà tenere conto del Concilio di Firenze che l’unità la sancì senza vederla però ratificata.
Aspetti, peraltro poco conosciuti, dell'opera e del pensiero del cardinale oggi Papa, sono molto importanti a riguardo. L'unica chiave per costruire l'unità è l'amore tra la chiese, senza dover procedere per forza all'elaborazione di formule teologiche comuni. "Spesso avverto... durante colloqui ufficiali talvolta così faticosi - ha detto l'ex cardinale - che questa umiltà ci mantiene orientati uno verso l'altro più dei tentativi, in realtà ancora molto goffi, di trovare formule teologiche comuni. Naturalmente faccio anche esperienza, viceversa, del fatto che noi giungiamo tanto più vicino alla parola comune quanto più questa umiltà è energica e autentica, umiltà che non si vuol difendere ma aprire alla verità, senza timore di perdere qualcosa, nella ferma certezza che soltanto lei può renderci una cosa sola e che la chiave per accedervi è unicamente l'amore. La si può tuttavia imparare solo da delle persone e qui io devo allora, ancora una volta, ringraziare per il dono di quell'amicizia che non può essere scalfita dalla lontananza".

4. “Benedetto” per la pace e perché, come disse Benedetto XV contro la prima guerra mondiale, “la guerra è inutile strage”, ma “Benedetto” anche per quel modello di uomo di fede che è stato il patrono d’Europa, il padre dei monaci dell’Occidente, San Benedetto, i cui seguaci sono anche qui, nei pressi di Firenze, dove Papa Ratzinger amava passare un paio di giornate, almeno una volta l’anno. La clausura benedettina femminile di Rosano dall’85 ospitava l’allora cardinale e ora Santo Padre in genere per la festività del Corpus Domini. Di fronte ai dubbi di una madre dispiaciuta per la scelta della figlia divenuta monaca, Ratzinger la rassicurò che “a Rosano si vive seriamente la vita monastica”. Madre Stefania, gentilissima badessa di Rosano, spiegò che quelle di Ratzinger erano in genere “visite brevi. In genere veniva di sabato e poi si fermava fino al pomeriggio del giorno dopo. Era contento di poter guidare la processione del Corpus Domini, attraverso i chiostri e il giardino”, in una ricorrenza che è tra i pochi eventi aperti alla popolazione. “Cordiale e ironico”, Benedetto XVI, incontrava le monache e si confrontava con loro sulle principali questioni della Chiesa e del mondo, “con la capacità di centrare il nucleo dei problemi in pochissimi minuti e di esporli in modo chiaro e conciso”. Per il cinquantesimo di sacerdozio, le benedettine di Rosano, che preparano i paramenti del Papa, regalarono al cardinal Ratzinger la mitria e la casula: un lavoro di precisione e d’arte difficile, soprattutto per la complessità dello stemma dell’ex porporato tedesco. A proposito di fiorentini. Ratzinger ha avanzato forti perplessità sulla beatificazione di Savonarola perché ha ritenuto la sua visione politico-religiosa teocratica. Ben altra stima, invece – ma siamo su un altro piano – verso il cardinale Benelli, che ha avuto modo di ricordare in più occasioni.

5. Francesco d’Assisi, uomo d’Assisi ma anche della Verna, è per Benedetto XVI un riferimento costante. In una sua udienza del mercoledì ha parlato del ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, “fondati rispettivamente da a san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico ‘gigante’ della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione. ‘Nacque al mondo un sole’. Con queste parole, nella Divina Commedia ( Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco , avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi…. nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco . Il poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo. I n realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. È anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai «mio», ma è sempre «nostro», che il Cristo non posso averlo «io» e ricostruire «io» contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chie- sa costruita sulla successione degli apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.
È anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo Ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i vescovi… E’ stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus , era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche ‘il fratello di Gesù’. In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali”.

Michele Brancale