Firenze, 25 aprile 2012 - CI RISIAMO. E’ passato poco più di un anno dall’ultima polemica. Offese alla religione sui mega cartelloni pubblicitari. Ormai sembra diventato un appuntamento fisso ammiccare esplicitamente alla fede per celebrare un credo negli spot. Se l’altra volta fu colpa della moda (era l’edizione invernale di Pitti, nel gennaio 2011) — per il marchio di Carlo Chionna un giovane (lo stesso imprenditore) si immolava simbolicamente su una croce accanto alla scritta «Perdona loro perché non sanno quello che indossano» e alla didascalia «Dio salvi il Made in Italy» —, stavolta è un’azienda che commercializza impianti fotovoltaici a scivolare sulla religione. Eppure, anche senza voler scomodare etica e morale, ‘scherza coi fanti ma lascia stare i santi’, è un proverbio sempre vivo nella memoria di tutti, figurarsi in quella dei creativi. «Io credo nel fotovoltaico», si legge a caratteri cubitali nei manifesti che tappezzano la città mostrando religiosi (di fedi diverse) raccolti in preghiera. Per promuovere l’azienda Helios, con sede a Grosseto, e l’energia pulita del sole.

 

Per carità, nulla da obiettare sulla bontà del prodotto. Ma ogni volta, la storia si ripete. Come se non fosse successo già. Per bloccare i cartelloni deve scoppiare il putiferio, altrimenti nessuno ci può mettere bocca. O veto. La censura preventiva non è infatti nelle prerogative, nemmeno nelle possibilità del Comune. Eppure un freno c’è, solo che non può essere utilizzato per via di una sospensiva del Tar che ha congelato, fino a sentenza, il nuovo regolamento della pubblicità approvato dal consiglio comunale lo scorso anno, contro il quale le agenzie hanno presentato ricorso.

 

«Questo ennesimo episodio dimostra quanto fosse necessario che venissero stilate nuove regole per la pubblicità», tuona il vicesindaco Dario Nardella. «Il fatto è che ora abbiamo le armi spuntate, almeno fino a quando il Tar non si esprimerà — aggiunge il vicesindaco —. Dopo una segnalazione, la forza pubblica di sicurezza controlla se si ravvisa una violazione al codice penale, in questo caso il reato di offesa alla religione di Stato». Ma con il nuovo piano della pubblicità in vigore sarebbe stato tutto più semplice, ribadisce Nardella, visto che l’articolo 7 del nuovo regolamento è «una clausola etica che costringe le agenzie pubblicitarie a fare un’autocertificazione sulla base di protocolli nazionali e internazionali». «Mi auguro che questo ennesimo caso faccia riflettere tutti».

di ILARIA ULIVELLI