Firenze, 23 marzo 2012 - I 73 ricordi di Adele Corradi sul priore di Barbiana, raccolti da Feltrinelli in 'Non so se don Lorenzo', sono il frutto di una lunga sedimentazione di parole, immagini, contesti, nel tempo, puntualizzati con la maggiore precisione possibile anche quando le situazioni che precedono le parole di don Milani (1923-1967) non sono state trattenute dalla memoria.
Quello che fa la differenza tra i ricordi di Adele Corradi e gli aneddoti – che di solito ingenerano forme barocche, crepuscolari, paragiografiche, con esaltazioni caratteriali, al limite del macchiettismo, ed estetiche – è il vaglio del tempo e della scrittura collettiva, appresa a Barbiana lungo la gestazione di 'Lettera a una professoressa'.
 

Nella sua casa, ai piedi del piazzale Michelangelo, a Firenze, Adele Corradi sottolinea questi aspetti, che peraltro sono ben articolati nel libro. “Raccontare di Barbiana – spiega - mi provoca sempre disagio. Mi sembra un'indiscrezione, la violazione dell'intimità di una persona che voleva essere persona pubblica solo attraverso scritti meditatissimi”. Proprio questo riserbo fa da garanzia, ora che dalla morte di don Lorenzo sono passati quasi 45 anni e tanti, per riprendere un espressione di Michele Gesualdi, “hanno sdottorato sul priore”. Adele Corradi non ha sdottorato e ha sottoposto al metodo della scrittura collettiva quello che voleva raccontare. Si imbatté subito in questa metodologia che vede svolta, per la prima volta, così: “Ogni ragazzo aveva buttato giù qualcosa e al momento del mio arrivo quello che ognuno aveva scritto veniva letto ad alta voce e fatto a pezzi”. Alla ricerca dell'essenziale, del significativo, anche quando Adele scrive “personale”, c'è un senso corale, un distillato per cui nelle situazioni descritte e nelle parole riportate, c'è qualcosa di parabolico e di comunitario, un po' come quando si leggono i detti dei monaci.
Nata nel 1924, un anno dopo don Milani, Adele Corradi segue un'amica che va a fare una visita a Barbiana, nel 1963. E' il 29 settembre, giorno di San Michele, che curiosamente non manca di sottolineare. E' un anno particolare. Dopo aver lavorato provvisoriamente come insegnante alla scuola media di Pozzolatico, Corradi viene immessa in ruolo a Castelfiorentino, nell'anno in cui in Italia arriva finalmente la scuola media unificata. Rimane così folgorata da Barbiana che decide – e don Milani acconsente – di ritornarvi ogni volta che può nonostante debba fare 40 km di tragitto, per condividere quella vita e insegnare a quei ragazzi.
 

Nel '64 riesce a farsi trasferire alla media statale di Borgo San Lorenzo, dove continuerà ad insegnare fino al 1974. Infine viene trasferita al Galluzzo per diciotto anni fino al 1991. Tra la morte di don Lorenzo e la chiusura di Barbiana passano due anni durante i quali Adele, con Michele Gesualdi e altri allievi del priore, porta a conclusione degli studi alcuni ragazzi “prima della discesa al piano”.
Nella dedica che don Lorenzo le scrive su 'Lettera a una professoressa', pubblicata nel maggio 1967, pochi giorni prima di morire, si legge: “Parte quarta. Poi finalmente trovammo una professoressa diversa da tutte le altre che ci ha fatto tanto del bene”.
Ci sono dati da storicizzare per la lettura del libro. Di fatto Adele conosce don Milani nella parte letteralmente finale della vita del priore, negli ultimi quattro anni della sua esistenza, minati dalla malattia, sorretti da una fede profonda e dalla fedeltà alla Chiesa; segnati da una preoccupazione di prospettiva per i suoi ragazzi, alcuni dei quali “ragazzi”, in senso stretto, non erano più, gli subentravano in alcune delle attività didattiche, accanto a lui e ad Adele, e avevano le domande della vita adulta, con le sue possibilità e i suoi pericoli (e legge loro, dal letto di infermità, il libro di Giona); anni percorsi con dolore dal mancato riconoscimento di fedeltà alla Chiesa per cui, letta una lettera scrittagli dal cardinale Florit, decreta il “blocco continentale” da Barbiana di tutti i borghesi, di quelli che hanno un titolo superiore alla terza media.
 

Di fronte ai rilievi del vescovo, don Milani si convinse che la borghesia fiorentina diremmo oggi “liberal” - con tutta la genericità dell'espressione – che diceva di sostenerlo in realtà lo avesse usato contro Florit, con il quale non si capiva, ma che era il suo vescovo e che voleva raccogliesse quanto da lui seminato a Barbiana. Don Milani, insomma, non faceva professione di dissenso.
Perché Adele viene esclusa dal “blocco”? Perché condivide la vita della famiglia speciale di Barbiana, era una dei cinque (con don Lorenzo, Michele e Francuccio Gesualdi, e la perpetua Eda Pelagatti “ministro dei rapporti con il popolo”). Durante il blocco proprio Michele si aggrappa alla sua figura per imbastire un contrasto col priore: “Se hai buttato fuori tutti i borghesi, devi fare andare via anche lei”. Aveva trovato questo punto debole perché don Lorenzo attenuasse “il blocco”. “Mandare via l'Adele? - ricorda Gesualdi – Stai scherzando? S'alzava la mattina all'alba per farmi studiare latino”.
Tante considerazioni suscita la lettura di queste pagine asciutte. Una emerge tra le altre: la religione è un fatto personale, piuttosto che privato, e ha ricaduta pubblica. Non c'è “laicismo” che tiene, anche perché i preti e i credenti sono cittadini come tutti gli altri. La scuola di Barbiana ne è una testimonianza esplicita che resiste a letture posticce, “sdottoranti” o un po' squadrate con una geometria ideologica (pregio di Adele è non edulcorare anche quello che non le andava bene e che proprio per questo restituisce verità e spessore al priore). Rimangono tracce da percorrere: che fine ha fatto don Ramòn, prete argentino al quale il priore e la scuola scrivono per tanto tempo? Che fine hanno fatto quelle lettere?
Maurizio Di Giacomo, uno tra quelli a cui Corradi dedica il libro, con il merito di una simpatia che ricorda questo giornalista così particolare, avrebbe fatto di tutto per averle, come avrebbe fatto il suo mentore Mario Cartoni, giornalista de 'La Nazione' che a Barbiana si sentiva a casa sua.
Con alcuni flash Adele illumina i rapporti con padre Balducci, con l'ex rettore mons. Gino Bonanni (che diventerà confessore di Adele e al quale dedica due pagine intense) e il card. Elia Dalla Costa.
In attesa di altre testimonianze, eccone alcune di Adele Corradi che proponiamo in forma di detti.
(Il volume verrà presentato il 13 aprile pomeriggio alla Comunità delle Piagge a Firenze e maggio presso la scuola media del Galluzzo).



1.
“Qui i ragazzi sanno bene che io sono un amico. Se stanno zitti tradiscono un amico”

2.
“Non mi racconti le sue pene! Chi si occupa di ragazzi non deve avere pene personali! Le sue pene devono essere quelle dei suoi ragazzi!”.

3.
“Una volta che si tornava appunto da Firenze, don Lorenzo mi raccontava che don Bensi gli aveva chiesto se si ricordava di farsi ogni tanto l'esame di coscienza” e lui gli aveva risposto che non aveva tempo per la sua coscienza perché doveva occuparsi di quella dei suoi ragazzi. “A furia di esami di coscienza”, borbottò poi, “trasformano in cura di sé perfino il Cristianesimo”.

4.
“... Barbiana deve rimanere Barbiana. Non voglio lasciarmi condizionare dalla gente che mi gira intorno, come certo è costretto a fare padre Balducci”.

5.
“Quella donna riesce a far tutto! Come farà, don Lorenzo, a trovare il tempo per fare tante cose?”
“Non vuol bene a nessuno!”, mi rispose di botto.

6.
Ai ragazzi sembrava che togliere spazio alle opere per pregare fosse una perdita di tempo e don Lorenzo insisteva a dire che bisognava anche pregare, facendo però attenzione alle circostanze e badando quindi alle urgenze. Se c'era urgenza bisognava agire... Disse: “Sarà urgente pregare quando a tutti sembrerà importante operare”

7.
“Vede, Adele, se io vado in Curia (il cardinale, ndr) mi fa aspettare un bel po' in anticamera e poi parla da dietro una scrivania. Non può capire niente. Se viene qui vede i ragazzi, vede come viviamo, cosa facciamo. Può capire chi siamo. In questi giorni ho risposto in questo modo anche alla televisione tedesca che mi invitata a parlare di questa scuola. Bisogna venire qui se si vuol capire”.

8.
“Adele io sono qui come un contadino. Un contadino non può aver fretta che una pera maturi”

9.
“Se faccio lezione di matematica state attenti perché con la matematica si possono fare quattrini. Il Vangelo invece non serve per far quattrini. Per questo non state attenti”


Concludendo

Nato a Vicchio nel 1913 e morto a Firenze nel ’95, mons. Gino Bonanni ha svolto un’azione pastorale diffusa nella geografia della diocesi: da Monticelli a Rifredi, negli anni ’30, quindi nei 40 a San Giovanni Maggiore del Mugello e poi a Montespertoli. Una pagina di particolare di valore nei quaderni di Bonanni, pubblicati da Polistampa ('Il divino nell'uomo'), è dedicata a don Lorenzo Milani ed è stata scritta all’indomani della sua morte. “E’ morto un uomo-prete che si è sforzato di essere vero ed è arrivato fino ad essere crudele con sé e con gli altri”, scrive Bonanni, che aggiunge: “Sarà un uomo discusso, come prete, ma è un precursore dei tempi nuovi. Un uomo che ha affermato le cose scoperte e vissute con estrema violenza. Un prete con una forte personalità, non ecclesiale ed ecclesiastica nel senso solito, ma che rompe con il passato, in modo violento. Si potrebbe dire: il prete dal fango in faccia”. Una previsione sul priore di Barbiana: “Sarà molto più grande nel futuro. Quando quel che oggi sembra polemico sarà acquisito da tutti, allora capiremo il coraggio e la grandezza di don Lorenzo… Non è sinonimo di santità non far confondere la gente”. Sembra avere avuto ragione.
 

Michele Brancale