Firenze, 1 marzo 2012 - Vogliamo ricordare la nostra amizia con Lucio Dalla (nella foto e il nostro ricordo sperando non vada inghiottito nella valanga di parole che inonderanno la sua figura, quello che ha fatto, detto, cantato. E che ci ha lasciato.

Lucio Dalla è da sempre un amico de La Nazione.

Generoso, curioso ed entusiasta. Quando gli chiedemmo di partecipare a un filo diretto con i nostri lettori, ovviamente disse di sì. Senza porre in mezzo scuse, problemi, date o impegni. Disse semplicemente, "Sì, lo faccio volentieri. Dimmi quando".

Non era strano per lui chiedere quando sarebbe dovuto venire a La Nazione. Quando eravamo disponibili. Noi.

Nella nostra carriera abbiamo incontrato tantissimi artisti, ma pochi generosi, semplici e anche umili come lui. Tanto modesto da chiedere la nostra disponibilità e non viceversa.

Dunque Lucio un pomeriggio arrivò per parlare con i lettori de La Nazione. E con lui c'era Marco Alemanno, e l'amico da sempre - in pratica il suo alter-ego - il manager Bruno Sconocchia.

Lo stabilimento de La Nazione è bellissimo, scenografico, un set naturale, perfetto: anche per Lucio fu una grande scoperta camminare in tipografia, attraversare la redazione, fermarsi a guardare il lavoro degli operatori ai monitor, poi parlare con tutti, soffermarsi, domandare. Scambiare idee coi giornalisti delle varie redazioni, parlare del Bologna allo sport, dove tutti tifano Fiorentina.

Il giro del giornale poteva non finire mai. Lucio diceva che avrebbe voluto fare il giornalista, se non avesse scritto canzoni. In qualche modo, rideva mentre lo diceva, scrivere canzoni era un ripiego. E che ripiego, gli dicevamo.

Avevamo organizzato questa chiacchierata con i nostri lettori in una stanza del giornale: un telefono, il viva voce, un divanetto dove si sedette - e si addormentò - Marco Alemanno, un tavolo grande: da una parte lui, dall'altra noi con Bruno.

Un'ora di telefonate: un'avventura impossibile.

Chiamò il mondo, da tutta la regione e oltre: la voce si era sparsa ed arrivarno chiamate anche da Roma, Milano e addirittura, lo ricordiamo bene, Reggio Calabria.

Ma nessuno faceva domande, cosa c'è da chiedere a Lucio Dalla?

Le telefonate a cui Lucio rispondeva erano solo dimostrazioni d'amore, di affetto, di partecipazione. Di condivisione.

Sorrideva anche meravigliato. E' buffo che un grande artista come lui, acclamato da mezzo mondo, amatissimo, a ogni telefonata facesse una smorfia di meraviglia.

Ci guardava divertito: "Ma parlano di me?", si chiedeva incredulo. "Sai che ti dico? - ci spiegava - Io penso talmente solo alla musica e al lavoro che mi sembra quasi strano ricevere tanti complimenti". Ma ai concerti, Lucio, ti sarai accorto quanta gente c'è..."Sì, ma che c'entra? La gente sente la musica, e poi ormai sono popolare: è una vita che mi sente. Sarà l'abitudine...questo mi viene di pensare". Allora, la sensazione - condivisa anche da Bruno - era quella di avere davanti un bambino, un bambino cresciuto. Lucio veramente aveva lo stesso esatto candore.

Amava per l'amore stesso, lavorava per amore, scriveva per amore. E incontrava la gente per amore e senza riserve.

Alla fine dell'incontro ricordiamo un abbraccio, un regalo a sorpresa: il suo basco.

Una telefonata il giorno dopo: "E' stato bello parlare coi lettori de La Nazione. Diverso".

E' stato bello averti qui Lucio.

Irripetibile e unico amico.


                                                                                                                                                                   TITTI GIULIANI FOTI