Firenze, 4 gennaio 2012 - «Tanti hanno subìto violenze, abusi sessuali, maltrattamenti, e questo è accaduto sotto l’egida e l’imprimatur delle autorità preposte, in nome di alcune assurde, addirittura incredibili ‘regole’ vigenti all’interno della comunità ‘Il Forteto’. ‘Regole’ che anziché essere combattute, giacché erano contrarie a qualsiasi principio e suscettibili di valutazione in sede penale, specie laddove venivano imposte a giovani vite innocenti e incapaci di difendersi, sono state per anni tollerate, se non addirittura incentivate e sovvenzionate attraverso il meccanismo dell’affidamento di minori in difficoltà».

 

E’, questo, solo uno dei tanti durissimi passaggi delle 75 pagine di ordinanza di custodia cautelare i con cui il gip Paola Belsito demolisce il sistema Forteto e il suo ‘Profeta’, il settantenne Rodolfo Fiesoli, arrestato giorni or sono per violenza sessuale e maltrattamenti. Un’ordinanza enorme per la durezza e la convergenza plurima delle accuse a Fiesoli, ‘deus ex machina’ di un meccanismo perverso che per anni ha ingannato chi doveva controllarlo. O, peggio, ha fatto sì che non fosse controllato in virtù di presunti rapporti amicali: Fiesoli e alcuni suoi ragazzi, è agli atti, accompagna un magistrato della procura dei minori a trovare la moglie in un Paese straniero; Fiesoli millantò in passato anche la conoscenza di un magistrato della corte d’appello che lo avrebbe potuto aiutare nel precedente procedimento a suo carico. «Non vi è in atti — sigilla il gip Belsito — elemento alcuno per affermare o anche solo dubitare che si sia trattato di un complotto, di falsità, di accuse ingiuste e infamanti concordate fra le parti per porre in cattiva luce il Fiesoli».

 

Il precedente giudiziario del ‘Profeta’ è un capitolo dolorosissimo per chi ha fiducia nella giustizia, sopratutto quella chiamata a proteggere i più deboli, i bambini. Fiesoli viene condannato a due anni di reclusione nel 1985 per maltrattamenti a una ragazza a lui affidata, atti di libidine violenta e corruzione di minorenne. La motivazione di quella sentenza, sostiene ancora il giudice, «contiene tanti spunti per affermare che quel che oggi si imputa al Fiesoli, sulla base delle tante voci concordanti raccolte, accadeva già nel novembre 1978, allorché accaddero i fatti per cui Fiesoli è stato condannato».

 

E allora c’è davvero qualcosa che non va, che non è andato nel ‘sistema’, se è lo stesso gip Belsito a scrivere che «la lettura di quella sentenza, che in parte descrive situazioni analoghe e talvolta sovrapponibili a quelle descritte oggi da decine di testimoni, desta stupore, giacché non ci si può non chiedere come sia potuto succedere che, dopo quella sentenza, Fiesoli possa ancora essere stato il soggetto normalmente deputato a mantenere i rapporti con i servizi sociali e con l’autorità giudiziaria per la gestione dei minori dati in affido a terzi appartanenti alla comunità». L’incredulità del giudice è palese: «E’ quasi come se, anche fuori dal Forteto, gli fosse stato riconosciuto un potere carismatico tale per cui poteva parlare in nome e per conto di altri, anche se forse il suo passato non glielo avrebbe consentito».

 

Fiesoli si era eretto a «Dio in terra, imponendo punizioni per chi non si adeguava al suo verbo e concedendo gratificazioni a chi lo faceva; e non bastava neppure questo, giacché con la scusa di dover guarire dall’omosessualità o togliere ‘la merda’ che molti degli ospiti si portavano dall’infanzia, dalle esperienze drammatiche a cui erano stati esposti, in quel clima di sudditanza psicologica che era riuscito a imporre, alterava le pulsioni sessuali, abusava di molti di loro, reiterando per anni e anni dette condotte». E come fosse Fiesoli lo spiega benissimo Marco M., un altro bambino finito nelle sue mani: «Davanti agli altri mi elogiava e mi faceva sentire importante agli occhi di tutti: avere rapporti sessuali con Rodolfo ti poneva al vertice della comunità. E lo facevamo ovunque: nei bagni, in auto. Ero ‘innamorato’ di Rodolfo Fiesoli. Avevo compiuto 14 anni e nella mia famiglia precedente non avevo mai avuto affetto».