Firenze, 17 luglio 2011 - QUANDO in Italia sono le nove di sera, nel carcere di Combinado del Este, L’Avana, sono le tre del pomeriggio. L’ora d’aria. C’è chi fuma e c’è chi gioca a pallone. E chi si rode il fegato, dal 30 giugno scorso: Simone Pini, «l’italiano». Squilla il telefono. Una voce scorbutica alza la cornetta. Dall’altro capo del filo, e del mondo, vogliono proprio lui. Siamo noi. Pochi secondi e il fiorentino, 43 anni, detenuto a Cuba perché accusato di aver partecipato a un festino hard in cui morì una ragazzina di dodici anni risponde: «Pronto...». Per questa brutta storia, cominciata a Bayamo il 14 maggio del 2010, ci sono in carcere 14 persone. Oltre a Pini, altri due sono italiani: Angelo Malavasi, modenese, e Luigi Sartorio, vicentino. Pini e Sartorio, oltre a un crudele destino, dividono pure la stessa cella. Da un anno e un mese. E non vedono la fine. Anzi: «Dicono che sta per arrivare una richiesta di 25 anni di condanna — dice Pini — per dei reati fabbricati, come ai tempi di Stalin. Vogliono rovinarmi la vita, la situazione è di una gravita estrema. Chiedo una denuncia contro Cuba per violazione dei diritti umani o che siano obbligati a fare delle indagini giuste».


-Ma sono state formalizzate le imputazioni contro di voi?
«Ancora non sappiamo bene di che cosa ci accusano. Abbiamo sentito dire in questi giorni che è in arrivo questa richiesta. Per fatti avvenuti nei due mesi che io ero a Firenze. E io non so ancora chi è il mio avvocato. Siamo alla follia».


-Come vi siete mossi in tutto questo tempo?
«L’ambasciata italiana qui a Cuba ci dice di stare zitti, che se parliamo con la stampa peggioriamo la situazione. C’è toccato per un anno reggere questo silenzio. Ma io dal primo minuto in cui sono entrato qua sto lottando per la mia innocenza, ho mandato 50mila lettere da tutte la parti. Con le mie carte d’innocenza si stanno pulendo il c.... E’ un abuso dei diritti umani. Le mie prove sono inconfutabili anche a Cuba»
 

-Quali sono?
«Ho molti testimoni, ho le chiamate telefoniche dall’Italia, quelle sono tutte partite da Firenze, da casa di mio padre, dai miei cellulari, dal centro telefonico messo dietro al mercato di San Lorenzo, che bisogna avere la scheda per chiamare da lì. E poi ci sono le prove dell’immigrazione: dicono chiaramente che io e Luigi Sartorio non eravamo a Cuba il 14 di maggio, ma mancavamo io dal 29 marzo, lui dal 1° aprile. Non sappiamo perché un organo del Ministero degli Interni cubano dice questo e la polizia, che è sempre organo del Ministero degli Interni, dica un’altra cosa».
 

-Ma tutto questo non è stato preso in considerazione.
«Faccio un appello al suo giornale affinchè le persone che mi hanno visto al Pignone, il mio quartiere, i miei amici, si facciano vivi, raccolgano firme, si riuniscano in un comitato. Io ho fatto una cena alla casa del popolo del XXV Aprile, a metà aprile, sono stato al circolo Potente, al bar Fabbri, dove sono nato, andavo in un bar notturno dei benzinai al Galluzzo, in via Senese, conosco bene il proprietario. Il 15 maggio (il giorno dopo l’omicidio, ndr) io mi trovavo a Empoli, con i signori Angelo Amenta e Domenico Cugliandro: che tutte queste persone si facciano sentire, voglio che l’Italia sappia che non c’entro con questa storia. Anzi, dico all’Italia: investigate su di me. Quello che mi stanno facendo è un sequestro di persona, e stanno sequestrando tre italiani. Un altro italiano che, per fortuna sua non è più venuto a Cuba sennò sarebbe qui dentro con noi, è il signor D.F. (anch’egli fiorentino, di cui Pini indica nome e cognome, ndr).
 

Cioè?
«Questo signore è negli atti, c’è il suo nome da tutte le parti. E’ un altro ricercato che non è stato cercato, perchè se Cuba chiede all’Italia il signor D.F. per ’asesinado’ e corruzione di minore, il 14 maggio, gli ridono in faccia. Noi purtroppo siamo venuti qua a fine maggio e mi sono trovato in mezzo all’inchiesta e m’hanno preso: quello è stato il mio errore, essere nel posto sbagliato al momento sbagliato».


-E loro quali prove hanno contro di voi?
«Nessuna. Ci stanno accusando su delle supposizioni, su una storia inventata e fatta cantare con la forza a più persone, che poi queste persone stanno tutte dicendo che questa storia non è mai esistita. Ci accusano due donne che non sappiamo nemmeno chi siano, così come non ho mai visto la morta, né io, né Sartorio, né Malavasi. E non avevamo rapporti neanche tra noi stessi, avevo soltanto appena conosciuto Malavasi».