Firenze, 27 febbraio 2011 - SE NON CI FOSSE da piangere per l’avvilente rappresentazione di degrado che la vita pubblica offre tutti i giorni, le reazioni e i commenti che si leggono intorno allo scandalo del buco di bilancio all’Asl di Massa fanno così scappare da ridere che potrebbero serenamente partecipare a una puntata di Zelig. Riassumiamo per chi, eventualmente, si è perso lo spettacolo. Venerdì scorso, a poco più di tre mesi dall’apertura dell’inchiesta giudiziaria che sta infangando l’icona fin troppo verginea della sanità toscana, i magistrati hanno fatto per la prima volta il punto delle indagini, dicendo fondamentalmente due cose: 1) La formazione del buco da 270 milioni di euro (per noi, ormai di mezza età, fa sempre effetto ricordare che sono 500 miliardi delle vecchie lire) non è stata determinata solo da cialtronaggine contabile a cui fa riferimento il reato di falso in bilancio, ma anche dal sospetto ben più rilevante che qualcuno si sia messo in tasca i soldi, violando per giunta i sistemi informatici di gestione.

 

TANTO che adesso si indaga anche per il reato di peculato. , 2) Tra le varie porcherie che stanno venendo fuori dall’ennesimo pozzo fetido della malagestione del denaro pubblico, c’è anche quella, guai a farsela mancare, dei concorsi fatti ad arte — nello specifico 60 posti di amministrativi — per assicurare un lavoro a figli, familiari ed affetti vari di politici e boiardi del potere locale. E fin qui, direte voi, c’è ben poco di stupefacente. Niente per cui valga la pena rovinarsi il fegato e tanto meno piangere: è il solito andazzo, in buona compagnia, in questi stessi giorni, di sanitopoli in Puglia, affittopoli a Milano, parentopoli a Roma e via infestando.

 

QUINDI dedichiamoci alla parte ilare, alla straordinaria faccia tosta creativa che rende inimitabile il made in Italy dell’irresponsabilità. Tenendo presente che, secondo i magistrati, il giochino di manomissione dei bilanci potrebbe essere cominciato già nel 1998, gli ultimi due direttori generali dell’Asl, si sono così esibiti: «Sono contento dello sviluppo che ha preso l’inchiesta — ha detto Antonio Delvino, che è indagato — perchè io non avevo la password, quindi non ho mai agito sulle scritture contabili e non mi sono mai appropriato di niente». «Non mi sono mai accorto di nulla — ha aggiunto Alessandro Scarafuggi, non indagato, che ha guidato l’Asl apuana fino al 2007 e oggi è a capo di quella di Pistoia — e non ho mai avuto diretto contatto con i bilanci, non troveranno password a mio nome usate per entrare nel server, sul piano penale mi sento sereno».
Cioè, fateci capire: sono spariti 500 miliardi di vecchie lire e chi aveva la responsabilità diretta di governo di questo fiume di denaro è sereno e contento, perché non aveva una password? Ma cosa ci facevano con il computer in ufficio? No, non ditecelo, che è meglio.

 

COSÌ COME il governatore Enrico Rossi, che della sanità toscana è stato celebrato assessore, può contentarsi, nell’analisi politica di una vergogna simile, del pur importante atto di aver innescato l’inchiesta giudiziaria? E’ così sicuro che il suo compito di buon amministratore si fermi lì? Si accettano repliche. Persino serie.
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