Firenze, 18 gennaio 2011 - ANITA Garibaldi che muore senza gemiti nella pineta di Ravenna (perchè la pellicola è del 1910, epoca del cinema era muto), offre il primo spaccato dei 150 anni di storia d’Italia in celluloide: appuntamento all’Odeon di Firenze lunedì 24 gennaio alle 16.
Sarà, quello di Mario Caserini (che scelse di far impersonare la splendida brasiliana compagna di ‘Beppino’ Garibaldi a sua moglie, Maria Caserini), il primo dei 100 film per raccontare una nazione. Iniziativa della Regione Toscana con l’Istituto Gramsci e il gruppo toscano del sindacato critici cinematografici, presentata ieri mattina a Palazzo Sacrati Strozzi, con toni straordinariamente patriottici e celebrativi. Del tipo: la forza del cinema arriva laddove le pagine dei libri non riescono a raccontare la storia. Padrona di casa Cristina Scaletti, assessore alla cultura, attorniata da storici e critici.
 

 

LA CARRELLATA va dal 1848 al 1918. Si rimescolano piste e tracciati partendo dall’epopea garibaldina (dopo Anita c’è 1860 di Alessandro Blasetti, del 1933, quindi Camicie rosse e Viva l’Italia) passando alle rivoluzioni mancate (Le cinque giornate di Milano, In nome del popolo sovrano), eppoi dalle contraddizioni irrisolte del Sud lacerato da rivolte libertarie a repressioni feroci e insidiosi trasformismi (Quant’è bello lu muriri acciso di Ennio Lorenzini del 1976 che racconta il sacrificio di Carlo Pisacane, poi Bronte di Florestano Vancini del 1972, quindi il più recente I viceré di Roberto Faenza del 2007). La corsa cinematografica tocca l’alba del secolo nuovo, il Novecento, sospeso fra la nostalgia per la belle epoque (bella onestamente per pochi) e le spinte sociali e migratorie che modificarono gli assetti sociali e i rapporti fra città e campagna (ottima scelta con Metello di Mario Bolognini del 1970, tratto dal romanzo di Vasco Pratolini, girato a Firenze con un debuttante Massimo Ranieri, giovedì 24 febbraio alle 16 all’Autorium Stensen).
 

 

E QUESTA «cavalcata ardente», nell’Italia redenta anche grazie alle trincee insanguinate del primo conflitto mondiale (1915-1918), si chiude con La grande guerra di Mario Monicelli, girato con senso storico e realismo nel 1959, ossia nel periodo nel quale si preparava Italia ’61, celebrazione del primo centenario dell’Unità nazionale. Anche allora attraversato da fervore patriottico: un po’ come oggi, quando si fa battere il cuore risorgimentale anche come antidoto alle spirali secessioniste di certi leghisti. Accade così che qualche vecchio critico, refrattario quarant’anni fa all’inno nazionale anche prima delle partite degli azzurri di Valcareggi, si metta la mano sul cuore evocando Goffredo Mameli e Fratelli d’Italia.
 

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