Firenze, 12 gennaio 2011 - C’È UNA COPPIA di amici, con la quale Simone Pini avrebbe passato i giorni del suo rientro in Italia, alla fine di marzo, e anche la sera di quel 14 maggio in cui, a Cuba, una ragazzina muore durante un festino a base di sesso e droga. Anche loro due potrebbero offrire la prova dell’estraneità del 43enne fiorentino al delitto di cui è accusato, per il quale è carcerato da sei mesi in una prigione di L’Avana. Simone lo chiede quasi ossessivamente, nelle sue lettere indirizzate al fratello maggiore e al babbo.
 

CON LA COPPIA di amici, anch’essi residenti a Firenze, Pini dice di aver fatto il viaggio di ritorno; con loro, il 30 marzo, giorno dell’arrivo, si è fermato a Roma dove sono passati dall’ambasciata cubana per sistemare delle pratiche; sempre con loro, scrive il detenuto, “nei giorni dell’accusa sono stato a cena e all’Osmannoro a comprare abbigliamento, e mi dettero 800 euro per la sua famiglia a Cuba più una lettera il 24 maggio”. Tra il 30 marzo e il 24 maggio, inoltre, assieme ad un amico “ci fermarono i carabinieri alla motorizzazione di Campi: sapere se esiste la prova con loro di quel controllo in macchina”.
 

NEI QUASI due mesi che Pini avrebbe passato in Italia mentre a Bayamo si consumava il delitto di cui è accusato, inoltre, il 43enne avrebbe caricato allo sportello di via Bartolini la sua carta PostePay e passato una visita oculistica a Careggi. “Avevo appuntamento il 28 aprile ma andai a Roma e mi dimenticai della visita – racconta – richiamai per telefono e mi fu dato un appuntamento il 12 o il 13 maggio”. L’acquisizione dei tabulati telefonici delle utenze di Pini – due cellulari e un fisso – potrebbe permettere la verifica di queste dichiarazioni e permettere altri incroci. Ma finora il fratello Alessio, da solo, senza l’aiuto di un legale se non quello ingaggiato a Cuba, ha sbattuto contro innumerevoli ostacoli che non gli hanno permesso di riscontrare quanto richiesto da Simone. Che, per avere valenza di prova, andrebbe comunque certificato con atti notarili, tradotto in spagnolo, e spedito a Cuba. “Basta con il silenzio, dovete chiedere aiuto visto che vi è difficile fare tutto”, implora il 43enne suggerendo anche “una raccolta firme nel quartiere dove tutti mi hanno visto a maggio e in quei giorni”.
 

 

QUANDO non è a Cuba, dove si era inventato una sorta di import-export, Simone abita in via del Ponte Sospeso. Un “personaggio” nel suo ambiente. Pini, classe ’68, ha frequentato la palestra del XXV Aprile in via Bronzino, ha giocato alcune esibizioni del calcio in costume dopo essersi allenato, per tenere in forma il suo ‘fisicone’, sia con i Rossi di Santa Maria Novella che con i Bianchi di San Frediano.
 

 

E POI CI SONO gli amici della curva Fiesole, dove Simone ha passato la gioventù. Nonostante la disperazione di questi lunghi mesi passati in carcere, lontano dagli affetti, nei suoi scritti non si dimentica della squadra del cuore: “Vorrei avere notizie sulle partite della Fiorentina. Il mio amore per la maglia viola e per Firenze è sempre tanto, non ti immagini quanto mi manca…”