Firenze, 11 gennaio 2011 - Da sei mesi è in carcere, a Cuba, accusato dell’omicidio di una ragazzina. Ma lui si dice innocente, e vuole dimostrare che a quel festino a base di sesso e droga, durante il quale morì, per l’abuso di stupefacenti, una prostituta minorenne, non ha mai partecipato.

 

Di più: Simone Pini, 43 anni, fiorentino, il 14 maggio del 2010, giorno in cui, all’interno di un albergo, viene constatato il decesso di una 12enne, sarebbe stato in Italia. Lo potrebbero provare, oltre alle testimonianze dei familiari, tante cose 'normali' fatte da Pini tra il 30 marzo, giorno del suo rientro a Roma, e il 24 maggio, quando è tornato a Bayamo, centro della provincia di Granma dove vive l’ex moglie cubana del fiorentino e il loro figlioletto. Cene con gli amici a Firenze; una ricarica sul conto Postepay; una visita oculistica all’ospedale di Careggi e un controllo stradale effettuato dai carabinieri a Campi Bisenzio.

 

Tutto questo si scontra con le accuse, supportate da un documento, firmato dallo stesso Pini, in possesso della polizia cubana, che attesta un suo ingresso clandestino nell’isola caraibica. Per la polizia Pini era a Cuba, nonostante i visti d’ingresso sul passaporto dimostrino il contrario, e, sulla base di alcune testimonianze, avrebbe partecipato all’incontro a luci rosse in cui ci è scappata la tragedia. "Quella firma ci fu strappata con la tortura e le minacce anche di fucilarci", si dispera Simone nell’ultima lettera dal carcere di Combinado del Este, a L’Avana, spedita a casa prima di Natale.

 

"Rischio 20 anni di galera per non aver fatto niente", ripete, mentre invoca il papà, pensionato di 83 anni, e il fratello maggiore, custode in una scuola, di aiutarlo a uscire dall’inferno. Pini è accusato di reati pesantissimi: concorso in omicidio, spaccio di sostanze stupefacenti, istigazione alla prostituzione minorile.

 

In galera, oltre a Pini, sono finiti alcuni cubani e altri due italiani, il vicentino Luigi Sartorio e Angelo Malavasi, un imprenditore mantovano: pure loro, sempre secondo le accuse dell’autorità cubana, erano al festino del 14 maggio. Pini, ex ultrà viola, negli anni novanta scopre Cuba. I suoi viaggi si fanno sempre più frequenti: s’inventa un commercio tra l’Italia e i Caraibi, si sposa e fa un figlio. Poi il matrimonio va a rotoli, continua a vivere tra Firenze e Bayamo; ma, secondo il fratello Alessio, Simone, "si è fatto qualche nemico". Nell’indagine sulla morte della baby prostituta, assicura, "ci è finito perché qualcuno ha fatto il suo nome". Un equivoco, che dura da mesi. I familiari hanno le mani legate. L

 

e autorità castriste non hanno fornito alcuna comunicazione; dall’Ambasciata italiana sono giunte solo poche informazioni, perdipiù 'ufficiose'. L’avvocato che assiste il 43enne non può accedere al fascicolo dell’accusa: è segreto, così prevede il codice cubano. Intanto chiede soldi per il suo onorario, che i familiari hanno difficoltà a reperire. "Abbiamo già speso 5000 euro, e noi non abbiamo grosse possibilità", spiega Alessio.

 

La situazione è impantanata, il carcere cubano non è una passeggiata e Simone, sempre più depresso, scrive e chiede aiuto. Alessio si fa portavoce del suo appello. "Mio fratello non è uno stinco di santo – dice– ma sono sicuro che è innocente, visto che non era neppure a Cuba. Chiedo alla Farnesina e all’Ambasciata italiana di farsi più pressanti con le autorità cubane. Al sindaco Matteo Renzi invece chiedo che s’interessi di un fiorentino ingiustamente detenuto all’estero".