Firenze, 19 novembre 2009 - «Siamo tutti sconfitti dalla morte di Yassine. Non ha perso solo la giustizia, ma io per primo come suo avvocato. Da un punto di vista professionale sono molto abbattuto. E’ vero che ciò non mi compete come difensore, ma penso che mi dovevo accorgere di quel che gli stava succedendo. Piangeva il giorno dell’arresto, ma non mi sarei mai immaginato un epilogo simile».

L’avvocato Mattia Alfano allarga le braccia e scuote la testa. Era il legale di Yassine El Baghdadi, il marocchino morto suicida martedì pomeriggio nell’istituto penitenziario minorile «Meucci» di Firenze. Il 29 novembre avrebbe compiuto 18 anni e martedì prossimo sarebbe dovuto comparire davanti al giudice del tribunale dei minorenni di Firenze per l’udienza in rito abbreviato che avrebbe chiuso il suo caso. Viveva ad Aulla (Massa-Carrara) ed era stato arrestato, assieme a un connazionale 14enne, lo scorso 3 agosto durante un tentativo di furto all’ufficio informazioni della stazione di Mologno, nel comune di Barga (Lucca).

Il giovane cercò di scappare ai carabinieri, fuggendo lungo il binario, ma fu bloccato dopo che si era liberato di uno zaino con all’interno chiavi e cacciavite: gli arnesi che gli sarebbero serviti per forzare la porta dello sportello ferroviario. Il giorno dopo l’arresto fu trasferito nell’istituto fiorentino dove si è ucciso.

Yaassine era sconvolto, provato dalla solitudine e dalla sua condizione: solo in Italia (aveva uno zio che vive a Torino e una madre che ha un nuovo compagno, con la quale il giovane non ha più rapporti), era probabilmente rimasto duramente colpito dal rifiuto del tribunale dei minorenni di concedergli, due settimane fa, una misura cautelare alternativa al «Meucci». Cosa che invece era stata concessa al 14enne arrestato con lui ad agosto. La differenza? Triste ma purtroppo reale: non c’era nessuno che avrebbe ospitato Yassine, il prossimo raggiungimento della maggiore età e i tre precedenti penali a suo carico.

Aveva così visto uscire il suo complice, ma se stesso rimanere dietro le sbarre di una struttura che, comunque, non è una prigione in senso stretto. Anzi, l’interrogativo è proprio questo: com’è possibile che in un istituto come il Meucci, dove gli operatori e gli assistenti sociali sono più numerosi dei detenuti stessi, nessuno si sia accorto di quanto stava succedendo a Yassine e non abbia segnalato la cosa a magistrati particolarmente attenti come quelli che operano al tribunale dei minori di Firenze? E l’allarme c’era già, eccome, perché appena un paio di mesi fa era avvenuto un altro tentativo di suicidio di un ragazzo detenuto: ma allora andò bene e il giovane si salvò.

L’inchiesta della procura e dei carabinieri comunque va avanti: il pm Tommaso Coletta, dopo aver già disposto l’autopsia sul corpo dello sfortunato ragazzo, ha acquisito anche le cartelle cliniche di Yassine.