Verdone racconta: "Firenze, Siena e la mia Toscana"

L'attore e regista, premiato a San Giovanni Valdarno, è una fucina di aneddoti e ricordi. Ecco i più gustosi: dalla scampanellata di Zeffirelli al "gesto da gran signore" di Paolo Poli

Carlo Verdone (foto Ops)

Carlo Verdone (foto Ops)

San Giovanni Valdarno (Arezzo), 5 maggio 2016 - Sentir parlare Carlo Verdone, sentirlo raccontare – di un vicino di casa come di Fellini, della Sora Lella o di Alberto Sordi – è sempre una festa. Ed è stata una festa per tutte le persone che hanno affollato, giovedì sera, il cinema Masaccio di San Giovanni Valdarno, dove Verdone ha ricevuto il premio Marzocco del festival Valdarno cinema Fedic, diretto da Simone Emiliani.

Verdone si è raccontato a ruota libera, mescolando ricordi e aneddoti. E ogni volta che parla, è come se prendesse vita un film, uno dei suoi.

Verdone, quali ricordi la legano alla Toscana e a Firenze?

Moltissimi: mio padre era senese, era molto legato alla Toscana e alla ‘Nazione’, il giornale per il quale ha iniziato a scrivere, quando ancora era uno studente universitario. E nel 1981 a Firenze feci un mese intero di ‘tutto esaurito’ al teatro Niccolini, con uno spettacolo. Ero giovanissimo, fu una grande emozione.

Fiorentini sono alcuni artisti che ama…

Franco Zeffirelli era amico di papà, veniva spesso a casa. Mi ricordo quando suonava alla porta, tlin tlin tlin tlin tlin, lo riconoscevo dalla scampanellata. E ricordo un gran signore, come Paolo Poli. Nel 1977 Poli era in scena a Roma al teatro l’Alberico. Io facevo uno spettacolo nel teatro più piccolo, l’Alberichino. Ma quando Paolo vide il mio successo, mi disse: ‘Carlo, sei giovane, bisogna darti fiducia. Vedo che alla gente piaci. Prenditi il teatro grande’. E mi cedette il suo spazio. Un gesto da gran signore.

Ha girato anche dei film in Toscana.

Io ho passato gran parte della mia adolescenza a Siena, e lì ho girato il mio primo film, un documentario sull’Accademia musicale chigiana. A Firenze ho girato varie scene dei miei film: in ‘Viaggi di nozze’ Ivano si guarda in giro e ‘nun riesce a individuà lo staddio’. Recentemente ho girato una scena nella serra del Roster, al giardino dell’Orticoltura a Firenze.

Mario Cecchi Gori fu il suo produttore "storico"…

«Ricordo che non voleva farmi fare ‘Compagni di scuola’: mi disse ‘parlano tanto e non succede niente!’, e buttò per terra tutti i fogli del copione. Poi si pentì, li raccolse con me e mi disse: se vuoi fallo, questo film, ma te ne pentirai. All’uscita del film, mi abbracciò commosso, e mi disse: mi hai fregato. Giri troppo bene. Non mi ero reso conto che sarebbe stato un film così bello".

Tra tutte le donne con cui ha lavorato, chi ricorda con più affetto?

Claudia Gerini e la sora Lella. Claudia perché eravamo davvero affiatati: sul set di ‘Viaggi di nozze’ andò tutto alla perfezione, ci davamo impulso e forza l’un l’altra. E la sora Lella perché dentro di lei c’era tutta Roma, l’umanità, la verità di una Roma che non c’è più. Incontrai suo fratello Aldo Fabrizi, e mi disse ‘ma perché la pij? Quella è bona solo a cucinà!. Capii che aveva una punta di invidia verso la sua sorella, perché era davvero, davvero brava.

Ha mai avuto paura del palco, del pubblico?

Quando stavo per debuttare col mio primo spettacolo, ero terrorizzato. Mi inventai una febbre, non volevo andare al teatro. Dissi a me stesso: non sarò mai un attore, pazienza. Fu mia madre a darmi letteralmente un calcio nel sedere di proporzioni epiche, dicendomi: ‘Non sei malato! Tu ora vai, fai il tuo spettacolo, e un giorno mi ringrazierai’. Non la ringrazierò mai abbastanza.

Il teatro è stato un inizio. Ma non ha mai avuto voglia di fare l’attore di teatro?

Non ne sarei stato capace. La ripetizione, dover fare tutte le sere lo stesso copione, mi abbatte. Quando ho fatto teatro, ogni sera cambiavo qualcosa, e gettavo nel panico i miei colleghi attori: preferisco il cinema, dove una cosa si fa una volta sola. Magari con dieci ciak, ma poi è fatta. E non ci si torna più.

Ha paura del futuro, del tempo, degli anni?

No. Non sono come alcuni miei colleghi, che dopo i cinquant’anni perdono interesse per la vita. Io continuo a essere curioso delle cose, delle persone, dei modi che abbiamo per stare insieme, per comunicare. Vedo tante cose che cambiano, tante cose che non mi piacciono, ma continuo ad amare la vita. Che d’altra parte è stata molto, molto generosa con me.

A proposito di suo padre, ma davvero Mario Verdone la rimandò a un esame?

Come no! A Roma era lui che insegnava Storia del cinema. Non potevo evitare l’esame con lui. La sera prima, gli dissi: papà, se mi esamina l’assistente, puoi dirgli se almeno mi chiede Fellini, Antonioni, il neorealismo? Che non mi chieda Pabst! La mattina dopo l’assistente era malato: mi interroga lui. ‘Verdone!’. Tutti nell’aula si chiedono: ma sarà un parente? E mio padre, serissimo: Verdone… che cosa mi sa dire su Pabst? Io allibito. Farfugliai qualcosa, lui mi disse ‘Vedo che non è preparato’. E mi rimandò al posto. Bocciato.

Lei è anche un grande tifoso di calcio, della Roma. È anche amico di un ex allenatore della Roma diventato leggenda con il Leicester: Claudio Ranieri.

Sì, mi sento orgoglioso di essere suo amico. L’ho molto apprezzato quando allenava la Roma, per la sua serietà, la sua semplicità, per il suo lato umano. Negli scorsi giorni ci siamo sentiti spesso: per scaramanzia Claudio fingeva di non crederci, ma da tempo ci credeva, a questo scudetto incredibile. E io lo sapevo.

Quando gli ha mandato l’ultimo messaggio?

Poche ore fa. Gli ho scritto i complimenti a Vardy, l’attaccante simbolo di questa squadra. Gli ho scritto: sei come Cesare per Roma. E poco dopo, mi è arrivato – tramite Ranieri – la risposta di Vardy: grazie infinite, caro Verdone, ma in questa squadra siamo tutti Cesari, la nostra forza è lo spirito di squadra. Sono cose che fanno bene al cuore.

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