L'artista Paolo Salvati tra i grandi del Novecento

La sua grandezza è stata riconosciuta dalla società solo dopo la morte. Oggi figura tra i grandi del Novecento nel Catalogo d'arte moderna Giorgio Mondadori e nell'Enciclopedia d'arte italaiana

L'olio su tela "Settembre" di Paolo Salvati

L'olio su tela "Settembre" di Paolo Salvati

Firenze, 3 giugno 2015 - E’ il colore dello spirito, della purezza, ma anche del freddo e dell’oscurità. Nella miriade di sfumature del blu, l’artista Paolo Salvati è riuscito a cogliere l’anima dell’uomo. Solo una sensibilità profonda come quella di Salvati poteva raccontare con lo stupore del sogno e la magia dell’iride l’insostenibile leggerezza della vita. La grandezza di questo artista è stata riconosciuta dalla società solo dopo la morte, avvenuta lo scorso anno a Roma, città madre per nascita e per formazione. Insignito del titolo di ‘Cittadino Illustre’ nel 2005, di Cavaliere della Repubblica e Cavaliere costantiniano nel 2013, Paolo Salvati è citato tra i grandi del Novecento nel Catalogo d’arte moderna Giorgio Mondadori e nell’Enciclopedia d’arte italiana.

Considerato uno dei veri espressionisti italiani, il maestro rappresenta un esempio quasi unico di virtuso completo. Artigiano del legno e di strumenti musicali, restauratore e artista, figurativo e concettuale. E’difficile trovare una combinazione così armoniosa di talenti, dove tecnica e arte collaborano all’unisono guidate solo dalla forza della sensibilità. Salvati è stato un osservatore privilegiato dell’uomo. Con ben 10mila ritratti, l’artista ha immortalato espressioni, sentimenti, rughe ed emozioni, colti nel fiume di quell’umanità errante che attraversava piazza Navona. Tra la miriade di passanti un giorno si fermò un uomo, che notò nei disegni di Salvati il demone dell’arte. Era il principe Don Agostino Chigi Albani della Rovere, critico e storico dell’arte, mecenate, grande estimatore di Salvati. Ma prima di raggiungere la consapevolezza completa di pittore, Salvati ha percorso anche un lungo periodo di lavoro come geometra dell’architetto Marcello Rutelli.

Negli anni ’70 arriva la decisione di lasciare il lavoro per trasferirsi in un negozio di cornici che, come diceva lui, dovevano servire a ‘vestire’ i suoi quadri. Nascono in questo periodo le miniature di vedute romane, i sogni di primavera, e i suoi totem simbolici, l’albero e la pietra blu. Il significato più delle sue opere sta nella fede profonda del maestro, che espresse coerentemente un connubio tra qualità di vita e qualità nell’arte. I valori cristiani e la cultura, la sensibilità forte e vulnerabile al tempo stesso hanno ricreato nei quadri quelle emozioni che non conoscono le incertezze del relativismo. Grande amante della musica, Salvati ha brevettato anche modelli di chitarre, scelte e ammirate da Alirio Diaz, allora allievo di Segovia.

Ma il segno più profondo della propria poetica, il maestro l’ha lasciato nel suo ‘blu’ di fede. L’albero rappresenta l’uomo, con i rami che si allungano al cielo, con le radici salde a terra, destinato ad una tensione continua, ma sempre piena di speranza. La pietra racconta invece il peso dell’esistenza, il dolore e la fatica che non possiamo evitare. «Dal 1973 al 1974 dipinsi una tela con una grande pietra centrale, tagliente e sempre di colore blu. – ha scritto l’artista - Venticinque anni dopo, nei pensieri di Eugenio Montale del 1973, leggo ‘La poesia non ha un momento in cui nasce ma è li da sempre come una pietra’. Io la poesia l'ho cercata, l'ho trovata e l'ho dipinta». Hanno scritto di lui: Elio Mercuri, Agostino Chigi, Paolo Levi, Vittorio Sgarbi, Andrea De Liberis, Giovanni Faccenda, Alfredo Pasolino, Renato Mammuccari, tra i giornalisti Paolo Fontanesi, Emma Moriconi, Pierandrea Saccardo, Cesare Augusto Sarzini.

Laura Tabegna

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