Il marchese Antinori ricorda Tachis

San Casciano (Firenze), 9 febbraio 2016   - «La mia vita imprenditoriale si intreccia con quella professionale di Giacomo Tachis, con il quale, per oltre 30 anni, ho collaborato in maniera straordinaria». E' a queste parole, pronunciate con affetto, commozione e gratitudine, che il Marchese Piero Antinori affida il ricordo dell'enologo che ha saputo conquistare, grazie alle sue straordinarie attitudini, un successo planetario.

Un periodo lungo quello che Tachis ha trascorso nella sua azienda. Come è stato lavorare con lui?

«Indimenticabile, appassionante e stimolante. Mi considero fortunato ad aver potuto lavorare con una persona che ritengo unica; una persona che ha contribuito, in maniera decisiva, a mutare il volto del nostro settore e quindi del nostro prodotto; sotto il profilo qualitativo e stilistico. Insieme abbiamo viaggiato molto per conferire valore al vino toscano che, in passato, puntava più sulla qualità. Abbiamo raggiunto la Francia e la California zone che, vuoi per la lunga tradizione come quella del Bordeaux francese, vuoi per una nuova vocazione, orbitavano intorno all'alta qualità. Trovando nuovi stimoli, da veri appassionati, ci siamo davvero divertiti a fare nuove sperimentazioni e ricerche. Insomma, in un periodo in cui si avvertiva la precisa sensazione di essere a una svolta, sentirsene partecipi, nel caso di Tachis protagonisti, è stata una cosa molto appagante».

Quali erano le caratteristiche più spiccate di Giacomo Tachis?

«Era una persona di grande cultura scientifica ma anche letteraria ed era innamorato del vino. Oggi che non c'è più lascia un'eredità straordinaria, come padre del Rinascimento del Vino toscano. Credo che tutti noi produttori toscani e italiani, dobbiamo essergli grati per quello che ha fatto: per la sua passione e per l'abilità nel suo mestiere».

Il Tignanello è il vino di Antinori che lega l'azienda a questo gigante dell'enologia. Perché?

«Il Tignanello è stato l'emblema di quell'evoluzione voluta e promossa da Tachis. All'inizio era un vino classificato semplicemente come «vino da tavola», la più bassa in una graduatoria dove già si parlava di denominazione di origine controllata e quant'altro. Il modo di produzione del Tignanello non corrispondeva però a quello che era il disciplinare e i dettami della denominazione. Lo facemmo quindi uscire semplicemente come «vino da tavola». Era quasi una contraddizione per un vino che, per qualità e prezzo, era invece ai vertici. Quella contraddizione attirò tuttavia l'attenzione dei mass media, in particolare di colui che rappresentava il gotha del giornalismo enologico: Luigi Veronelli. Il suo incoraggiamento ci spinse a guardare avanti. E il tempo ci ha dato ragione perché il Tignanello divenne, in seguito, l'apripista di quella categoria che gli americani chiamano «supertuscan» e contribuì a elevare l'immagine dei vini toscani».

Qual è l'eredità più bella che Tachis le lascia?

«E' racchiusa in una frase che lui ripeteva spesso: «il vino si fa nella vigna e non in cantina». Per gli anni '60 questo era un concetto assolutamente innovativo, destinato a cambiare il ruolo storico dell'enologo: non più il «correttore» dei difetti del vino in cantina, ma l'artista che arricchisce le caratteristiche di un vino, le cui uve provengono da una vigna in perfette condizioni. E oggi quel principio, di colui che scherzosamente si definiva un «mescolavino», è accettato e condiviso dai più grandi wine makers del mondo».

La famiglia Antinori farà qualcosa per ricordare Giacomo Tachis?

«Adesso è prematuro. Ma sicuramente a breve valuteremo quale potrà essere la migliore iniziativa per mantenerne vivo il ricordo, che ci tocca profondamente nell'animo, legato alla nostra azienda e alla nostra famiglia. E lo faremo insieme alla figlia Ilaria che è una buona custode del patrimonio culturale e scientifico del padre e che si sta già adoperando per valorizzarlo al meglio».